Questi librettisti, dicono "barocchi", come Giovanni Francesco Busenello per l'Incoronazione di Poppea, ma anche Striggio figlio per l'Orfeo o Da Ponte per Mozart, erano come in stato di grazia, non una parola fuori posto, eleganti, sfavillanti, connubio perfetto tra forma e sostanza, grazia che evidentemente si è persa nei librettisti ottocenteschi, così pompieri e pretenziosi nell'imitare i classici, per esempio nel buon Francesco Maria Piave (l'intelligenza della stupidità, cit. Savinio) o nello scapigliato Arrigo Boito (la stupidità dell'intelligenza, idem).
A documentare la stupidità di Piave si cita «Il balen del tuo sorriso», «Raggiante di pallor», «Sento l’orma dei passi spietati», «Il raggio lunare del miele». E pensare che se un giorno vorremo trovare un equivalente di Rimbaud, di Hölderlin, di Nietzsche poeta, ci toccherà tirare fuori il povero Piave! (Savinio, Alberto. Narrate, uomini, la vostra storia)
Mentre Striggio figlio:
Io la Musica son, ch'ai dolci accenti.
Sò far tranquillo ogni turbato core,
Et hor di nobil ira, et hor d'Amore
Poss'infiammar le più gelate menti
Insomma, il verso è peggiorato notevolmente, un filo marrone unisce Francesco Maria Piave a Mahmood (Cinque cellulari nella tuta gold/Baby, non richiamerò).
("barocco", si sa, fu in origine termine spregiativo per designare la bizzarria, l'eccesso, il kitsch, senonché le parti col tempo si sono invertite e il rigorosissimo ottocento è diventato alla fine più kitsch dell'impeccabile barocco).
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