giovedì 26 novembre 2015

Nessuna consolazione

Ho letto l'intervista di Onfray sui fatti di Parigi, e che dire? Le solite banalità, il solito eccesso di sociologismo da gauche al caviale, niente di nuovo. Sono uno strano tipo di nichilista, talmente non credo in nulla che nemmeno sono tentato dall'edonismo, anzi, in quanto ennesimo tentativo di dare un senso alle cose, l'edonismo è una bufala. Vivere, dunque, ma senza alcun tipo di consolazione, né religiosa, né scientifico-razionalista (né tantomeno edonista). Venire trascinati dal fato, volenti ma soprattutto nolenti, questo è l'unico senso che riesco a dare alle cose.

martedì 24 novembre 2015

"Conseguenze tragiche"

Se è vero che il vero è l'intero, come diceva il nostro amico Hegel, ogni passo fatto nella direzione della III° guerra mondiale ci avvicina alla verità. Ora, ci va pur sempre una buona dose di amaro sarcasmo, ma l'incidente di oggi fra Turchia e Russia è quel pezzettino del puzzle mancante che sempre avanzava e che infine trova il suo posto all'interno del grande disegno generale. Qual è questo grande disegno generale? La tempesta perfetta, il grande casino globale. Come diceva Clausewitz, la guerra non scoppia mai all'improvviso, ma quando scoppia allora fa come il Vesuvio, in un solo istante libera tutta l'energia accumulata nel corso dei secoli e dei secoli, e allora amen (diceva proprio così). Prendetelo come rito apotropaico.

Guarire si può

Arrivi a un punto che prendi congedo pure dal conformismo di sinistra, con la sua pretesa di essere sempre dalla parte giusta della storia (ci siamo passati). Il fatto è che a sinistra si sta comodi, è come stare alla Società del Whist, ti vengono gentilmente offerte le pantofole e tutta una serie di coordinate che nella maggior parte dei casi bastano ad attribuirti il titolo di intellettuale (rigorosamente engagé) e a sublimare qualche frustrazione personale mascherandola da solidarietà verso i più deboli. In pratica si passa il tempo a sentirsi incommensurabilmente migliori di Gasparri (ma il fatto che ci si debba sentire incommensurabilmente migliori di Gasparri non costituisce in sé motivo di distinzione, anzi). Poi arriva il momento della liberazione, in cui non devi più rendere conto di quello che pensi e che dici e nemmeno del tuo atteggiamento verso i migranti (cioè verso le persone diversamente stanziali). Coraggio, c'è vita là fuori, non abbiate paura, si può avere qualcosa da dire anche senza celebrare Pasolini e Berlinguer, provateci.

domenica 22 novembre 2015

Intermezzo teologico

Da un'introduzione a L'Ora di Kierkegaard di Mario Dal Pra: «esiste tra Dio è l'uomo una incommensurabilità ontologica che, considerata isolatamente dal resto, può indirizzare l'uomo alla disperazione». E' il grande tema del Dio come "totalmente altro", cruccio di tanta teologia nordica. Un ateo risolverebbe tosto la questione: e per forza che c'è una incommensurabilità ontologica fra Dio e l'uomo, è l'uomo stesso che si obbliga a questa incommensurabilità, è l'uomo che se la canta e se la suona da solo! Poi c'è sempre il Deus sive natura, che è una forma di ateismo raffinato: non c'è alcuna distanza fra uomo e Dio perché l'uomo, in quanto natura, coincide con Dio. Senonché è un Dio muto e sordo che non ci dice nulla sulla nostra salvezza, un Dio che non ci piace (a noi piace pensare che ci sia un piano). Per quanto mi riguarda io avrei invece raggiunto il mio personale satori, vale a dire che nego il libero arbitrio e rimetto la mia povera esistenza nelle mani del destino, vero arbiter della questione, il che non significa rinuncia al mondo e distacco da esso, ma partecipazione attiva e consapevole al mondo anche se percepito nella sua dimensione di vacuità (l'ho letto su wikipedia, dev'essere vero).

sabato 21 novembre 2015

Dum spiro, spero

Diceva l'ontologo che è impossibile essere altro da sé, e questo intendevo dire, che a questo punto non ci si può nascondere e mimetizzarsi sperando di non dare troppo nell'occhio. Non c'è via di scampo, questa volta il problema andrà affrontato. E sapendo di che pasta siamo fatti, specialisti delle strade tortuose e maghi del piede in due scarpe, prevedo la solita ammuina. Una condanna chiara non la potremo mai esprimere, nessun percorso lineare, ci sarà sempre un "ma" e un "però" a ricordarci che siamo corresponsabili, che in fondo trattasi della giusta punizione, della nemesi che ristabilisce l'equilibrio in un mondo che pende tutto ad occidente. Per cui da una parte chi è genuinamente convinto di essere "dalla parte giusta della storia", che i valori occidentali convengono a tutti perché espressione dei diritti umani universali, dall'altra chi proprio non gliela vuole dare vinta e si fissa sull'ipocrisia, come a rimbrottare il soldato che se ne va alla guerra con i calzini spaiati. Io dico: quando la minaccia è grande sarebbe opportuno lasciare da parte i bisticci, casomai dopo, a bocce ferme e se mai riusciremo a spuntarla, riprenderemo il discorso dal punto in cui l'avevamo lasciato, ma è fiato sprecato.

giovedì 19 novembre 2015

Dell'impossibile fuga da se stessi

Ho una visione dolente della realtà, per esempio non capisco perché proprio a me sia toccato di vivere in occidente, in relativa pace e tranquillità da una sessantina d'anni, e non invece a un buon diavolo di siriano che magari si è visto bruciare casa e accoppare la famiglia, eppure tra me e lui non vi è a priori alcuna differenza. Ma poi, proprio giunto a questo punto, comprendo come tutto sia necessariamente a posteriori: non ci si può giudicare indipendentemente dall'esperienza, astraendosi dalla cultura in cui si vive, dal tempo e dal luogo in cui ci si trova. Per esempio il giudizio che diamo delle altre culture passa necessariamente attraverso quello che siamo, e noi siamo occidente, volenti o nolenti. Per cui non dobbiamo tanto preoccuparci di dar loro meno fastidio possibile con la speranza che ci possano odiare un po' di meno, loro ci odiano già per quello che siamo, per come viviamo e per quello che pensiamo, e siamo occidentali anche e soprattutto quando crediamo di cavarcela a buon mercato offrendo loro un'ospitalità che suona quantomai pelosa. Allo stato attuale non vedo dunque alternative, e non è un mistero che il cosiddetto "islam moderato" venga giudicato tale in relazione all'adesione allo stato diritto laico e liberale, un'idea quanto mai occidentale, non trovate? (Oppure fate come gli antagonisti tardo marxisti ed hegeliani, che ancora tentano una via alternativa al capitalismo, criticando ferocemente il pensiero unico occidentale senza rendersi conto che la filosofia marxista, pensiero unico per eccellenza, è il modo migliore per riaffermare una visione ultra-occidentale).

mercoledì 18 novembre 2015

Süße Träume

Siamo in guerra. In un'ideale Repubblica di Platone apparterrei alla classe degli artigiani, la penultima in ordine di importanza (a me spetta il compito di produrre, ai guardiani quello di difendere gli opifici). A questo punto sarebbe auspicabile che gli europei capissero che la pace non è per sempre, che può capitare anche il caso che ci si ritrovi improvvisamente a difenderla. Tempo fa andava di moda la società aperta, il multiculturalismo, la critica postmoderna al pensiero forte, il mondo sembrava avviato verso un futuro di pace e di relativismo stabile e duraturo in cui tutte le culture si sarebbero accontentate di convivere le une accanto alle altre senza darsi troppo fastidio, all'interno del più grande contenitore "neutrale" della democrazia liberale. Grandi speranze per grandi illusioni. Per cui può capitare pure che di nuovo se ne possa venire a capo, come può capitare il contrario. Sarebbe invece pericoloso pensare che Gott mit uns, di avere il favore degli dei, e qui si intenda il Dio dei cristiani come più laicamente il nostro strapotere tecnico e scientifico, perché i nemici dell'occidente dimostrano di non avere scrupoli a servirsene, che la tecnica è neutrale e non mostra preferenze per l'uno o per l'altro. Sogni d'oro.

domenica 15 novembre 2015

Milites pro civium salute

In verità io non credo nemmeno nel libero arbitrio, quindi dirmi liberale non sarebbe propriamente corretto, senonché trattasi di precisazioni risibili che non interessano perlopiù a nessuno se non ai filosofi che fanno questioni di lana caprina. Cercare continuamente conferma della propria identità ideologica (oltreché ontologica) è poi un lavoraccio, oltre a un certo limite denota pure qualcosa di patologico, in aggiunta la civiltà è a rischio, dicono, per cui bando alle ciance e confidiamo nei milites a cui va tutto il nostro appoggio. C'è da dire che non credo nella civiltà dei buoni sentimenti, nell'accoglienza ai profughi per volontà della misericordia, tendo a credere di più ai reciproci interessi che olisticamente si intrecciano e vanno a formare un superiore interesse generale (se questo non è liberale!). Ma al diavolo le definizioni. La verità è che non smetterò mai di sentirmi un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro e che continua a riecheggiarmi nella mente quel passo delle "Storia d'Italia" citato solo qualche giorno fa: «Un popolo reso conservatore dal benessere, e cittadino e sedentario dalla civiltà, comincia ad accarezzare il sogno della sicurezza, e per realizzarlo, non potendosi più affidare alle proprie virtù militari, si affida alla Tecnica». Speriamo che basti.

sabato 14 novembre 2015

Penultimi barbarorum

Alla fine la rilettura contemporanea del buon vecchio Spinoza - e dico "rilettura contemporanea" perché per forza di cose ci scappa sempre un po' di ermeneutica, cioè di reinterpretazione fisiologica del testo - è quella che ci può tornare più utile: emendare l'intelletto dalle affezioni che annebbiano la mente. Certo, in Spinoza c'è quella ricerca della felicità stabile e duratura che conduce all'imperturbabilità stoica (troppo spesso male interpretata come indifferenza), ma c'è soprattutto l'invito a non farsi sopraffare dalle emozioni, il che non esclude che anche all'asceta, occasionalmente, possano girare un po' le palle.

Gottfried Wilhelm Leibniz, in seguito a un colloquio con Baruch Spinoza avvenuto quattro anni dopo all'Aia, annotò sul suo diario che il filosofo olandese, estimatore dello statista trucidato, gli aveva detto «che il giorno dell'orrenda uccisione dei de Witt voleva uscire di notte per andare a riporre una lapide sul luogo del massacro, con sopra scritto ultimi barbarorum [traducibile con «i peggiori dei barbari», riferito agli autori del linciaggio]; ma il suo padrone di casa era poi riuscito a impedirglielo, chiudendo la porta a chiave, per timore che anch'egli fosse fatto a pezzi».

venerdì 13 novembre 2015

Cronache del garantista

Insomma, da quando ascolto "Stampa e Regime" sono diventato un perfetto garantista, ho capito che cos'è lo stato di diritto e non mi avvento più sugli indagati con la furia del populista o dell'uomo di sinistra. Con Vincenzo De Luca è diverso, la sua guasconeria è pure divertente (ēthos anthrōpō daimōn, il carattere di un uomo è il suo destino, pare abbia detto), ma comprendo benissimo lo struggimento del popolo campano. Certo è che fino a prova contraria non si può mettere in croce un uomo solo per la sua strafottenza, mica è reato, va trovata la pistola fumante, la prova provata, non siamo nella giungla. Noterete però che gira questo virus, il virus dell'unfit, che quando te lo becchi stai pur certo che in un modo o nell'altro finisce male. Niente di più letale infatti per una carica politica delle questioni di opportunità, ad un certo punto, semplicemente, da indispensabile diventi un intralcio, gli amici ti tolgono il saluto e ciao core. E' come una iattura, che se te la togli subito di dosso, bene, altrimenti kaputt. Diciamo che De Luca, al momento, sta inguaiato forte, che al confronto il guaio precedente era un raffreddore di stagione. Voi direte: e tutto questo cosa c'entra con lo stato di diritto? Nulla. D'altronde non lo siamo mai stati, aspiriamo ad esserlo, ma desiderarlo è lecito, realizzarlo è cortesia.

mercoledì 11 novembre 2015

Lo scisma Lefebvre

Si diceva oggi su Twitter (che ormai è diventato il mio taccuino) che fra i maggiori difetti della sinistra c'è questa tendenza a scambiare il livore e l'astio personale per proposta politica. E' una sorta di teologia negativa, non sanno quel che vogliono ma sanno quel che non vogliono essere. Tutto pur di non darla vinta al nemico, così fu con Craxi, così con Berlusconi e infine con Renzi, l'ultimo dei detestabili. Talmente sono indispettiti che non ci pensano due volte a fare sfoggio di autolesionismo e fondare un partitino che pur di non dargliela vinta sarebbe persino disposto a convergere su Grillo. D'altronde fra Sinistra Italiana e M5S il passo è breve, senonché nel nostro caso trattasi di partitino fondato contra personam, che nasce con Renzi e finisce con Renzi, altro motivo di esistere non ne ha, se non lo scazzo personale fra il segretario e i fuoriusciti (i quali evidentemente non hanno l'aplomb di Letta). Vi paiono basi serie su cui fondare un percorso politico? E' roba da bambini.

domenica 8 novembre 2015

Scorciatoie

Perché i partiti non riescono più a esprimere candidati che vengono dalla politica ma vanno a pescare sempre più nei consigli di amministrazione? Perché la figura del politico è screditata, certo, perché è in crisi di credibilità, perché con la fine delle grandi ideologie l'unica rimasta in piedi è quella economica, non tanto per meriti suoi ma per la necessità di produrre reddito, perché in fondo di questo si vive. Cosicché è demerito della politica pensare di prendere una scorciatoia e affidare la gestione della cosa pubblica a chi già si è distinto nella gestione della cosa privata, pensando di rivolgersi ai cittadini come ci si rivolge ai consumatori, è il dominio della forma-merce, direbbe il filosofo (è implicitamente un modo per dare ragione al barbuto di Treviri, il quale sosteneva la precedenza della struttura economica su tutte le altre). Come a dire: ecco, il re è nudo, infine! Se il fatto originario è l'economia, allora diamo agli economisti e agli amministratori delegati le redini della cosa pubblica, accorciamo la filiera, andiamo al sodo. Un altro abbaglio. Certo, potrà capitare che un buon amministratore privato riesca bene anche nel pubblico, ma non necessariamente e non nella misura auspicata dalla politica. Piuttosto dovrà imparare, la politica, a darsi da fare per riconquistare la dignità perduta senza pensare di cavarsela prendendo la via più breve (personalmente sono pessimista ma non faccio testo, ai pessimisti non è dato scendere in politica).

Verso i secoli bui?

Stavo leggiucchiando una nota Storia d'Italia nella parte che riguardava la caduta dell'Impero Romano: «Un popolo reso conservatore dal benessere, e cittadino e sedentario dalla civiltà, comincia ad accarezzare il sogno della sicurezza, e per realizzarlo, non potendosi più affidare alle proprie virtù militari, si affida alla Tecnica». Verrebbe da pensare che così come non bastò la Tecnica all'Impero Romano, così non basterà oggi all'Occidente, con tutti i suoi droni, le portaerei, gli F35 e i Sukhoi che dir si voglia, e quindi che non sia da escludere che tutto crolli come allora e l'impossibile accada (l'avvertimento piacerà ai foglianti e a Houellebecq).

sabato 7 novembre 2015

La grazia plebea

Si diceva: quando Ninetto Davoli si sposò e accese un mutuo Pasolini ci rimase male, l'omologazione aveva mietuto un'altra vittima. Si sa che a lui piaceva lo spettacolo ferino e ferale della vita belluina, sulla genuinità della gente semplice e affamata ci aveva fondato una poetica che da inclinazione estetica era degenerata, come spesso accade, in congettura moralista (finché sei povero sei bello e non oltre, poi viene meno l'interesse pedagogico). Fatto sta che quarant'anni dopo tutta questa poetica non fa più gioco e tutt'al più oggi la si potrebbe inscrivere nella lamentazione no global e latouchiana della decrescita felice, idealizzazione di una presunta e passata età dell'oro e dei miti del buon selvaggio. A chi piace, si accomodi.

venerdì 6 novembre 2015

Storm in a glass (of Messina's water)

Renzi pare abbia (ri)evocato il fantomatico Ponte sullo Stretto e su Twitter già si scatenano: ecco, quello pensa al ponte invece di portare l'acqua a Messina! Che pensi ai poveri, alla sanità, all'edilizia scolastica! (insomma, crisi di isteria generale). Ma che ha detto Renzi? "Certo che si farà, il problema è quando". Lo dice il premier Matteo Renzi nel libro di Bruno Vespa Donne d'Italia. "Ora, prima di discutere del ponte, sistemiamo l'acqua di Messina, i depuratori e le bonifiche. Investiamo 2 miliardi nei prossimi cinque anni in Sicilia per le strade e le ferrovie. E poi faremo anche il ponte" (ansa). Innanzitutto complimenti a Bruno Vespa per il tempismo, vero principe degli istant book. Per il resto lo sai che Renzi è un cazzaro tale e quale a Berlusconi (è il segreto del suo successo): facciamo il ponte, facciamo la pista di sci, la rampa per i missili, la vasca degli squali, non c'è problema (tanto...), ma prima l'acqua a Messina, ci mancherebbe altro. Insomma, se vuoi colpire davvero il bersaglio, almeno prendi meglio la mira (voglio guarire la sinistra dagli eccessi di emotività, mission impossible?).

giovedì 5 novembre 2015

Mr. Wolf e la democrazia

C'è gente anche di una certa cultura che si domanda: ma se la politica fa tutti questi disastri, non è forse meglio affidare tutto ai prefetti, che sono gente a modo e risolvono problemi? Magari un po' grigi ma perlopiù immuni alla demagogia e tutti votati alla buona amministrazione. Se lo domanda Chicco Testa, per esempio, laureato in filosofia presso l'Università degli studi di Milano, sulla sua rubrica sull'Unità. «Quella che oggi impropriamente chiamiamo democrazia è solo un inutile azzuffarsi senza costrutto». E quella che propriamente si dovrebbe chiamare? Una sfilza di prefetti e commissari straordinari assunti per concorso sulla base di rigorosi test psico-attitudinali, altro che democrazia! (d'altronde, l'avevamo detto: pensate davvero che la gente sappia davvero quel che fa e soprattutto quel che è giusto? In fondo Marino l'hanno votato loro).

lunedì 2 novembre 2015

Cronache della sagrestia

Si diceva: il Vaticano è ormai come il Cocoricò, solo con meno selezione all'ingresso. PR, lobbisti, consulenti HR, opinion makers, tutta gente che apparentemente non c'entra nulla col Sinodo della famiglia ma nemmeno con l'immagine del poverello d'Assisi assurto al soglio pontificio. Lungi da me ricadere nei tic del gretto anticlericalismo ottocentesco, ma è una vita che non mi appartiene. Io quando ho messo le ciabatte e mi sono fatto una camomilla già sto in pace col mondo e con me stesso. A sentire i giornali in Vaticano si sta invece come nel porto di Bisanzio, tutti che si guardano le spalle, i corvi, i monsignori, le protette, roba che Dan Brown, al confronto, un bambagione. Eppure li mettono in carcere come fossero degli assassini perché hanno trafugato chissà quali segreti papalini, tipo che il papa fa la pipì da seduto... boh, roba che noi secolarizzati non possiamo capire e tutt'al più potrà interessare i finissimi vaticanisti del Foglio, che un po' per noia e un po' per apatia pare si dilettino di cronache della sagrestia come si trattasse delle ultime novità in fatto di bon ton e di acconciature à la page, contenti loro...

Comparazione

Siamo o non siamo una democrazia più compiuta rispetto a quella turca? Relativamente alle pressioni sulla stampa possiamo dire che non ci sono paragoni, che qui da noi Brunetta, Sallusti, Belpietro e Travaglio sono liberi di fare il loro mestiere, che casomai il problema è nella qualità degli attori, fatto che fino a prova contraria non costituisce rilevanza penale. Si ricordi poi che siamo una democrazia relativamente giovane, che l'alternanza dei partiti è per noi qualcosa di relativamente recente e che fino all'altro ieri la vita politica del paese era egemonizzata da un solo partito di ispirazione cattolica, per cui ci vuole pazienza, quarant'anni di monocolore DC non si smaltiscono dalla sera alla mattina (detto questo, l'attuale clima in Turchia ricorda i nostri anni di piombo). Io poi continuo a pensare che giunti al punto in cui siamo il vero pericolo per la democrazia non provenga tanto dalla brama di potere in sé e per sé quanto dall'idea che per inseguire l'efficacia dei provvedimenti, in un clima di crisi permanente e di perenne inderogabilità, essa sia disposta a rinunciare in tutto o in parte alla rappresentanza (a monte sta poi l'errore più macroscopico, cioè pensare che la democrazia possa davvero mantenersi all'altezza del significato racchiuso nel suo etimo).

domenica 1 novembre 2015

Incipit

Oggi come oggi si tende a considerare la filosofia come un genere letterario quando non come una sorta di stramba e includente confabulazione attorno al senso del tutto e del nulla, il senso vero del mondo ci è dato dalla scienza, con il suo senso pratico e la sua ambizione di rendere intellegibile l'intera realtà attraverso le formule matematiche. Abbiamo talmente interiorizzato questa forma mentis e talmente siamo abbacinati dai miracoli della tecnica che non ci poniamo nemmeno più il dubbio che possa esistere, in termini di vera conoscenza, qualcosa al di fuori dell'atteggiamento scientifico, e se ce lo poniamo, ci convinciamo che su ciò che non non possiamo conoscere scientificamente meglio tacere o inutile parlare. La buona filosofia ha invece la capacità di mettere in discussione tutto questo. Ma siccome l'attitudine scientifica ha come scopo l'accrescimento indefinito della capacità di previsione e del controllo sulla realtà, mal volentieri o solo qualora si trovasse a un punto morto acconsentirebbe, per necessità, a ripensare filosoficamente i suoi fondamenti, perché più dei mezzi sono i fini a comandare le regole del gioco (dice un celebre filosofo: se un domani la preghiera smuovesse le montagne più di quanto non faccia oggi la tecnica, gli uomini sceglierebbero di buon grado la preghiera e abbandonerebbero la tecnica al suo destino).