Al contrario, ci vuole più avalutatività nel considerare le questioni politiche, per non cadere nel solito teatrino, per non lasciarsi trasportare da quel caratteristico eccesso di pathos così intrinseco ai popoli meridionali (da quando sono più avalutativo ho smesso di mangiarmi le unghie). C'è ancora qualche nostalgico del marxismo che si domanda: perché gli italiani non fanno la rivoluzione? Buon Dio, e per cosa? Il declino dell'Italia è irreversibile, come lo è in generale quello dell'occidente. Ma guardiamoci, siamo una squadra che ha vinto tutto, è il turno degli altri di credere di poter essere felici, di credere di essere "occidente" (e lasciamoglielo credere!). Ma anche un'etica del katà métron, di un ritorno dell'occidente a un piacere più misurato, di una serena accettazione dei propri limiti, se mai sarà possibile lo sarà non già per via di volontà, ma per via di necessità (nel qual caso, si farà di necessità virtù). Per abbandonarsi a un piacere smisurato, oltre alla disponibilità dei mezzi, occorrerebbe avere anche la disponibilità dei fini: ne disponiamo?
giovedì 31 ottobre 2013
Ho fatto un sogno angosciante: vivevo in una città del nord, pioveva, mia madre si era ammalata, io ero solo ed ero costretto a fare un un lavoro che non mi piaceva per guadagnarmi da vivere. Meno male che alla fine mi sono svegliato.
lunedì 28 ottobre 2013
Ricondurre qualche cosa di ignoto a a qualche cosa di conosciuto alleggerisce, acquieta, appaga, infonde inoltre un senso di potenza. Con l'ignoto è dato il pericolo, l'inquietudine, la preoccupazione - l'istinto primo mira a sopprimere questi penosi stati d'animo. Primo principio: una spiegazione qualsiasi è meglio di nessuna spiegazione. Poiché si tratta in realtà di liberarsi di rappresentazioni opprimenti, non si va molto per il sottile con i mezzi impiegati per liberarsene: la prima rappresentazione con cui l'ignoto si chiarifica come noto è di tale giovamento che la "prendiamo per vera". Prova del piacere ("della forza") come criterio della verità. [...] Il fatto che qualcosa di già noto, vissuto, inscritto nel ricordo, venga stabilito come causa, è la conseguenza prima di questo bisogno. Il nuovo, il non vissuto, l'estraneo viene escluso come causa. - Non soltanto viene dunque cercata come causa una determinata specie di spiegazioni, ma anche una specie eletta e privilegiata di spiegazioni, quelle, cioè, con cui è stato eliminato nella maniera più rapida, nel maggior numero dei casi, il sentimento dell'estraneo, del nuovo, del non vissuto - le spiegazioni più abituali.
(Friedrich Nietzsche, Crepuscolo degli idoli)
Commentava Sini: a motivo della nostra avversione per tutto ciò che ci inquieta, quando ci troviamo di fronte all'ignoto cerchiamo di trovare una spiegazione che lo riferisca a un segno già noto. Qui si apre un baratro, un enigma per eleatici, roba per seguaci della reductio ad absurdum: come potrà mai l'ignoto essere giustificato da qualcosa che ci è già noto, non è forse questa una contraddizione, un'impossibilità tecnica? Il pragmatismo ha giustamente risolto con un laconico "basta che funzioni", ma resta difficile comprendere come si possa pretendere di snidare l'ignoto dalla sua tana di totale alterità rispetto a ciò che ci è noto senza farci venire un gran mal di testa. In sostanza, per spiegare l'ignoto occorre alterarlo, ricondurlo a forza entro un paradigma già noto che con l'ignoto fino a pochi istanti prima non aveva nulla da spartire. L'ignoto ci sfugge, nel momento stesso in cui si svela si riveste di una veste non sua: sull'impossibilità di conoscere realmente le cose per come stanno (Kant aveva ragione?).
domenica 27 ottobre 2013
Sto progressivamente perdendo la fiducia nella capacità della politica di incidere sul destino civile di un paese. Non ritengo, allo stato attuale delle cose, che sia lo scontro fra questa o quella fazione che possa cambiare le sorti di una nazione. Prendete la Germania: che siano la CDU, l'SPD, l'FDP o i Grünen a governare, rimarrà sempre un paese serio. Prendete l'Italia: che siano il PD, Forza Italia, Il Grande Centro o chicchessia a comandare, rimarremmo sempre il solito paese del menga. Perché il destino di un paese, a mio parere, è iscritto principalmente nel suo carattere nazionale. Del resto questa non è una legge immutabile, di fronte al levarsi di un'Alba Dorata l'indifferenza fra questa o quella proposta politica verrebbe meno, ma l'argomento regge in caso di normale amministrazione. Questa mia indolenza sarà forse un riflesso del governo delle grandi intese? E' questo generale clima di confusione fra mozioni di destra e di sinistra a rendermi più scettico di prima? Bah. Sta di fatto che implicitamente ho sempre dato precedenza al carattere nazionale rispetto alle sue individuazioni politiche particolari, diciamo che il carattere nazionale è quell'albero da cui si diramano le singole proposte politiche, e nulla mi vieta di pensare che il pesce puzza dalla testa, o che l'albero stia ben piantato solo se ha buone radici. Il giorno che noterò un certo cambiamento nel carattere nazionale, vuoi perché suscitato ermeneuticamente o serendipicamente da un partito politico, vuoi per via di un miracolo, automaticamente riacquisterò fiducia nella politica, ma non c'è da sperarci.
La preghiera del mattino dell'uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico.
(Friedrich Hegel)
(Friedrich Hegel)
L'ho fatto, lo faccio quotidianamente, se non è il mattino è la sera, compatibilmente con gli impegni lavorativi. Il punto è che in questo periodo dovrei situarmi quotidianamente assieme ai vari Renzi, Leopolde, Alfani e Beppe Grilli, lo Spirito Assoluto deve avere il senso dell'umorismo.
Le leggi devono tener conto anche dei difetti e delle manchevolezze di un paese… Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all'abito.
Le leggi devono tener conto anche dei difetti e delle manchevolezze di un paese… Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo, deve fare la gobba anche all'abito.
(Giovanni Giolitti)
Attraverso un susseguirsi ininterrotto di superamenti dialettici, il pensiero di Giovanni Giolitti deve essere rimasto conservato nella memoria politica di questo paese, sedimentato in qualche parte del suo subconscio. Non è nemmeno così difficile riportarlo in superficie, sta proprio lì, a portata di mano, per un paese che guarda con nostalgia ai suoi happy days abbiamo tagliato su misura un giubbotto alla Fonzie.
In Renzi s'è incarnato lo Spirito dei Tempi, è quel famoso "eroe cosmico" che s'è lasciato penetrare dall'attuale necessità storica, cioè della sinistra che si appropria del linguaggio della destra in un clima di generale mercificazione di ogni cosa. E se ci fate caso, in questi giorni noterete una sottile aurea, una nebbiolina impercettibile trasferirsi come una sorta di jet stream da un capo all'altro, da una pelata incatramata a una cuffia più folta di capelli brizzolati, quello è il segnale che il vento sta cambiando. Vincere dunque l'avversario assumendo le sue sembianze, il momento della sintesi che segue il lungo inverno dell'antitesi. Intesi, i tempi sono questi, questo è quello che passa il convento, non guardate me.
Renzi e l'esempio della Coca-Cola: Sapete la Hoha Hola hos'ha fatto? Ha messo il nome sulle bottiglie. Voi verrete a dire: ma Renzi hosa dice, non ha niente di meglio da dirci? No, guardate che c'è qualhosa di molto di più dietro a questa hosa, qualhosa di molto più grande di una hampagna di marheting, è l'idea che in una società anonima come la nostra tu hai il bisogno di farti hiamare per nome, hai bisogno di hualhuno he si prende hura di te, sarà huesta la svolta epohale del piddì.
Ragazzi, la filosofia a cosa serve? Kant, Hegel, Nietzsche, Schopenhauer, ma chi sono questi, chi si credono di essere? Cioè, noi da oggi andremo a mettere su ogni sistema filosofico il tuo nome, da oggi ci sarà la filosofia di Marco, Antonio, Michele, Ilaria, Anna Maria, perché la filosofia non deve rimanere chiusa nelle università, ma scendere pe' strada e prendersi cura delle persone, oh biscari!
sabato 26 ottobre 2013
Occorre anche una certa perizia nel distinguere credente da credente e la difficoltà sta nel fatto che è lo stesso credente che spesso non ha ben chiare le ragioni del suo credere oppure non sa se sta credendo veramente. C'è il cristiano che si dice tale per via di un condizionamento culturale eterodiretto, cioè inculcato nel subconscio dall'esterno, ad esempio dall'ambiente familiare. Egli deve fare uno sforzo per non avvertire un senso di peccato mentre si scopa la moglie del capoufficio. Qui si vorrebbe dedurre la presenza di Dio dal senso del peccato, che coincide di fatto con il senso di colpa. Qui è come si dicesse: sento in me il peccato e questo è il sintomo di una coscienza, e se ho una coscienza questa sarà il sintomo della presenza di Dio, e se Dio è presente in me attraverso la coscienza allora io mi sento in dovere di credere. Ma il senso di colpa può essere benissimo presente anche in un ateo, anzi, spesso sono gli atei che consapevolmente aderiscono a una legge morale positiva, facente funzione di imperativo categorico. Anche gli atei possono avere una coscienza, fermo restando che è impossibile provare che essa sia una prova della presenza di Dio o sia necessariamente il frutto di un indottrinamento culturale eterodiretto, fermo restando che l'ateo potrebbe sviluppare un senso di colpa nei confronti del cornuto e non di Dio. In conclusione, è anche possibile credere di credere.
Poniamo il caso che un giorno Dio si manifesti nella sua evidenza, si squarcia il velo del cielo e una voce potente riecheggia per tutto il creato: fermi tutti, sono DIO! Presi alla sprovvista i non credenti potrebbero credere di essersi sbagliati e i credenti di essere sempre stati nel giusto. Passano i giorni, a tutto ci si abitua, anche al Giudizio Universale, e in qualcuno comincia a insorgere un terribile dubbio: siamo sicuri che costui è il vero Dio? Vista la portata dell'evento tutto è possibile. E' il dubbio del Dio ingannatore, se lo era posto anche Cartesio, risolvendo la questione confidando nella bontà di Dio, ma chi ritiene che Dio sia buono? Gli uomini. Quindi fiducia mal riposta, perché niente potrebbe smascherare l'inganno di un dio quando questi vuole intenzionalmente ingannarci. Come farei dunque a distinguere il Dio vero da quello falso? Mettendomi nella disposizione d'animo di credere, volendo credere che sia quello vero. Insomma, nemmeno al cospetto di un dio sarebbe possibile avere la prova dell'esistenza di Dio, del Dio che ci salva, del Dio misericordioso che ha scelto come suoi rappresentati temporali gli adepti di una certa confessione piuttosto che un'altra, il dubbio di essere solo dei babbei rimane, è qualcosa di irriducibile.
Il discorso del credo religioso è un discorso sulla disponibilità ad ingannarsi. Più un uomo sarà disponibile ad ingannarsi più sarà disposto a credere, meno sarà disposto e più la persistenza del dubbio lo allontanerà dalla volontà di credere.
Poniamo il caso che un giorno Dio si manifesti nella sua evidenza, si squarcia il velo del cielo e una voce potente riecheggia per tutto il creato: fermi tutti, sono DIO! Presi alla sprovvista i non credenti potrebbero credere di essersi sbagliati e i credenti di essere sempre stati nel giusto. Passano i giorni, a tutto ci si abitua, anche al Giudizio Universale, e in qualcuno comincia a insorgere un terribile dubbio: siamo sicuri che costui è il vero Dio? Vista la portata dell'evento tutto è possibile. E' il dubbio del Dio ingannatore, se lo era posto anche Cartesio, risolvendo la questione confidando nella bontà di Dio, ma chi ritiene che Dio sia buono? Gli uomini. Quindi fiducia mal riposta, perché niente potrebbe smascherare l'inganno di un dio quando questi vuole intenzionalmente ingannarci. Come farei dunque a distinguere il Dio vero da quello falso? Mettendomi nella disposizione d'animo di credere, volendo credere che sia quello vero. Insomma, nemmeno al cospetto di un dio sarebbe possibile avere la prova dell'esistenza di Dio, del Dio che ci salva, del Dio misericordioso che ha scelto come suoi rappresentati temporali gli adepti di una certa confessione piuttosto che un'altra, il dubbio di essere solo dei babbei rimane, è qualcosa di irriducibile.
Il discorso del credo religioso è un discorso sulla disponibilità ad ingannarsi. Più un uomo sarà disponibile ad ingannarsi più sarà disposto a credere, meno sarà disposto e più la persistenza del dubbio lo allontanerà dalla volontà di credere.
Ich mußte also das Wissen aufheben, um zum Glauben Platz zu bekommen.
Siamo davvero sicuri che per opporci con i giusti argomenti all'antiquato oscurantismo religioso dobbiamo per forza di cose ridurci a un mucchietto di carne incidentalmente fresca finché ci è concesso dal caso o almeno finché regge la pompa (e per giunta andandone anche fieri)? Questo mi domandavo. Negare il fondamento temporale delle religioni è un gioco da ragazzi, più difficile pretendere di confutare una fede. Guardavo oggi un video della compianta Margherita Hack ospite di Bruno Vespa e la critica che con il solito piglio tentava di muovere ai credenti: la fede è un'illusione indotta dal cervello. Bene, ma chi ci può garantire che non sia un'illusione indotta dal cervello anche la fiducia nei progressi della tecnica o nel materialismo scientifico in generale? Che non ci siano gli angeli con le trombe ad attenderci dopo la morte e che Dio non vesta di una tunichetta bianca potrebbe risultare facile da comprendere anche al meno adulto fra i cattolici, il problema vero sorge quando si tenta di affidare le proprie certezze alla scienza caricandola di una equivalente aspettativa di verità. Guardo con sospetto all'UAAR, mi pare un tentativo di opporre a un ottuso dogmatismo un'altrettanto inflessibile rigidità di pensiero facendosi scudo della razionalità, la quale è per alcuni razionalisti come lo spirito santo per i credenti. La fede è essenzialmente volontà. Se uno, ad esempio, vuole farsi un tatuaggio, inutile metterlo in guardia sulla tossicità degli inchiostri o sulla possibilità di beccarsi l'epatite (la becchi anche dal dentista), la volontà vuole e la fede è volontà di credere. Una volontà non si può estinguere per delibera del tribunale della ragione, una volontà si estingue solo quando vengono meno i suoi presupposti. E se il presupposto della fede è la volontà che vi sia un Dio che ci accolga fra le sue braccia dopo la morte, un Dio che ci garantisca un senso sia qui, su questa terra, che nell'aldilà, capirete anche voi che la fiamma della fede non si potrà mai estinguere almeno finché siamo mortali. Il mio consiglio è allora di affrontare il problema continuando ad instillare quanti più dubbi possibili fra i credenti piuttosto che colpire il nemico frontalmente con l'arma della razionalità, la quale, per il credente, non potrà che sortire l'effetto di un piccola punturina d'insetto avvolto com'è nella sua nuvoletta di repellente spirituale, non trovate? L'agnosticismo è una maieutica che va condotta con finezza.
venerdì 25 ottobre 2013
E' indubbio che la cultura contemporanea (Marx compreso) tende a ricondurre la filosofia al filosofo, cioè a mostrare che il modo in cui il filosofo vive condiziona ciò che egli pensa. In questa prospettiva si è portati a ritenere che se un filosofo vive come complice del capitale, anche la sua filosofia è complice del capitale. Una ventina d'anni fa J. O. Wisdom ha scritto un libro per mostrare che il disgusto ossessivo per le feci da parte del piccolo Berkeley (il futuro grande filosofo e vescovo anglicano) sarebbe stato la condizione fondamentale della sua ostilità verso la materia, culminata poi nel suo immaterialismo filosofico. Ma come l'immaterialismo non è liquidato dall'osservazione psicoanalitica che le difficoltà della fase anale del piccolo Berkeley hanno favorito l'insorgere di un atteggiamento critico nei confronti del concetto di materia, così una filosofia non resta liquidata dal semplice rilievo sociologico (ripetuta fino alla monotonia dalla "mezza cultura" marxista) che essa è la filosofia di un borghese o di un piccolo borghese.
(E. Severino, Téchne)
Questa della coprofobia di Berkeley come elemento fondante dell'immaterialismo è veramente eccezionale. Rivoltando la tesi e la diagnosi, forse potremmo affermare che un coprofilo è intimamente materialista? Io non sono del ramo, ma se esistesse una proprietà commutativa degli stati psicologici le implicazioni potrebbero essere davvero sconvolgenti.
giovedì 24 ottobre 2013
Alla NSA vorrei dire: se spiavate Letta potevate risparmiarvi i soldi dei contribuenti, ma se spiavate anche Berlusconi, be', allora vi prego, inviateci un memorandum che ci facciamo quattro risate. Ma pensa poi lo smacco se non ci avessero intercettati, trattati come gentucola di poco conto, che viene utile giusto per farsi prestare le basi. Sicuramente ci avranno intercettati come gesto di cortesia: grazie, grazie mille, sapevate che ci saremmo rimasti male. Voglio una puntata speciale di NCIS dove Gibbs intercetta Lavitola e De Gregorio e si domanda: who the fuck are them? Quelli sono alle prese con i terroristi e devono sorbirsi pure il polpettone indigesto dei nostri affarucci interni. A De Gregorio avevano promesso nell'ordine: un abbonamento a mediaset premium, una bottiglia di Limoncello, due milioni di euro in nero in banconote da dieci e una scheggia dell'unghia dell'alluce sinistro di Diego Armando Maradona raccolta direttamente nel suo piatto doccia: Dio che vergogna!
mercoledì 23 ottobre 2013
Il vescovo Franz-Peter Tebartz-van Elst è il classico capro espiatorio. Gli si contestano spese folli per la ristrutturazione della diocesi, e adesso che gli impresari del grande circo hanno deciso di raccontare la fiaba della chiesa povera a farne le spese è lui. E' una bella diocesi quella di Franz-Peter Tebartz-van Elst, se vogliamo anche sobria, una lezione di stile, prenderei i voti per abitarci. Mi riporta al Puledro impennato in quel di Brea, sul Verdecammino, e ad una certa pizzeria italiana gestita da tedeschi in quel di Halle, Westfalia, praticamente un sogno (la Westfalia è il mio luogo dell'anima). Forse quando si decise di costruire San Pietro si badò a spese? E Santa Maria del Fiore? E San Marco? Ma avete idea di quanto ci sono costate tutte quelle cupoline? Senza un poco di sano narcisismo il cristianesimo sarebbe oggi ridotto a una setta per straccioni e non ci venga a fare la morale questo furbacchione calato dal Maradagál.
martedì 22 ottobre 2013
Veramente un brutto gesto quello di Maradona, testimonial per Equitalia. Con quei 40 milioni o giù di lì, Maradona avrebbe potuto contribuire ad aprire migliaia di scuole calcio a Scampia, e case accoglienza per ragazze madri e corsi per parrucchiere professionali e studi di registrazione per neomelodici napoletani, insomma, Marado', mettiti una mano sul cuore, 40 milioni di euro sarebbero stati un punto di PIL per questo disgraziato paese che t'ha fatto santo ancor prima di papa Wojtyla.
La realtà non è contenuta nello spazio. Lo spazio è una cristallizzazione momentanea di un teatro per la realtà dove i movimenti e le interazioni delle entità macroscopiche materiali ed energetiche hanno luogo. Ma altre realtà - come ad esempio le realtà quantistiche - "hanno luogo" fuori dallo spazio, o - e questo sarebbe un altro modo per dire la stessa cosa - entro lo spazio che non è lo spazio euclideo tridimensionale.
Il concetto classico di "entità fisica", sia essa particella, onda, campo o sistema, è diventato un concetto problematico con l'avvento della teoria della relatività e la meccanica quantistica. I recenti sviluppi della moderna fisica quantistica, con la realizzazione di delicati e precisi esperimenti che coinvolgono singole entità quantiche, i quali dimostrano espliciti comportamenti non-locali per queste entità, portano con sé novità essenziali riguardo la natura e il concetto di entità.
(Diederik Aerts)
Sarebbe un lavoro immane, degno di Platone o di Aristotele, ridefinire oggi il concetto di "ente materiale", magari facendosi aiutare dalla fisica, perché no? La quale, genealogicamente parlando, sarà pur sempre figlia della filosofia, fino a prova contraria. Quella di Democrito, tanto per citarne uno solo assai caro ad Onfray, non era forse una fisica? Per cui niente di scandaloso. La filosofia nutre da tempo una certa invidia nei confronti della fisica, propria della vegliarda che si è vista scippare onori e gioventù, e brontola, sbuffa, fa l'inacidita, ma bisognerà pur ricucire questo strappo. La fisica va solo capita, incoraggiata, i giovani sono così volubili... tu, alla fisica, concedile pure la preminenza e lascia che ci creda, quindi lavorala ai fianchi.
Mi pare che la persistenza del materialismo, inteso come tendenza a considerare gli oggetti dell'esperienza come "solidi in sé stessi", derivi, oltre che dalla persuasione del senso comune, dal timore di scivolare in una certa mistica delle apparenze funzionale a uno scivolamento ulteriore dentro il pensiero religioso. Questo è un pregiudizio, una paura infondata. Sono le equazioni della matematica che descrivono oggi la materia come spuma indistinta di energie raggomitolate su se stesse. Le particelle quantistiche vivono nel loro stato di sovrapposizione di tutti i loro stati possibili finché arriva qualcuno a misurarle e tutto quel caos indistinto - l'àpeiron, niente di meno -, si cristallizza in un ordine distinto.
Può davvero la materia, quando non è osservata, fare un po' come gli va, e poi, appena si accorge di essere osservata, bloccarsi, come a "un, due, tre, stella!"? La realtà materiale dei quanti, ammesso che questa definizione abbia un senso, pare si formi sotto gli occhi dell'osservatore nell'istante stesso in cui si accinge ad osservarla, l'osservatore è il Re Mida. Ma qui osservare non significa solo "guardare", significa misurare, essere in rapporto con un altro oggetto. Si capisce quindi come in una realtà macroscopica in cui tutti gli oggetti sono costantemente in rapporto fra loro, tutti gli enti ci appaiano distinti.
Memore del mio dito alluce finito improvvidamente contro il termosifone, posso allora dire con certezza che la materia esiste in quanto percezione certa e incontrovertibile di forze agenti sugli alluci, come certa e incontrovertibile è la percezione della mia unghia che se ne sta cadendo, quando la penso o quando giunge a me la percezione di una fitta. Ma fa una bella differenza comprendere che la materia non è per forza di cose un oggetto inerte che se ne sta buono buono in un angolo in attesa di un alluce da scorticare, ma è ricettacolo di forze vive che colpiscono i sensi, prima ancora degli alluci, forze attive, che si rapportano costantemente con l'osservatore: la percezione della materia è una fenomenologia.
Non riesco però ancora a convincermi che vi sia uno strappo ontologico, scientificamente provato, fra gli oggetti macroscopici e quelli microscopici: le particelle subatomiche non si comportano in modo deterministico, ma prese nel loro insieme, in grandi aggregazioni, sì. Come può l'ordine poggiare sul caos? (Arthur Schopenhauer). Buonanotte.
Il concetto classico di "entità fisica", sia essa particella, onda, campo o sistema, è diventato un concetto problematico con l'avvento della teoria della relatività e la meccanica quantistica. I recenti sviluppi della moderna fisica quantistica, con la realizzazione di delicati e precisi esperimenti che coinvolgono singole entità quantiche, i quali dimostrano espliciti comportamenti non-locali per queste entità, portano con sé novità essenziali riguardo la natura e il concetto di entità.
(Diederik Aerts)
Sarebbe un lavoro immane, degno di Platone o di Aristotele, ridefinire oggi il concetto di "ente materiale", magari facendosi aiutare dalla fisica, perché no? La quale, genealogicamente parlando, sarà pur sempre figlia della filosofia, fino a prova contraria. Quella di Democrito, tanto per citarne uno solo assai caro ad Onfray, non era forse una fisica? Per cui niente di scandaloso. La filosofia nutre da tempo una certa invidia nei confronti della fisica, propria della vegliarda che si è vista scippare onori e gioventù, e brontola, sbuffa, fa l'inacidita, ma bisognerà pur ricucire questo strappo. La fisica va solo capita, incoraggiata, i giovani sono così volubili... tu, alla fisica, concedile pure la preminenza e lascia che ci creda, quindi lavorala ai fianchi.
Mi pare che la persistenza del materialismo, inteso come tendenza a considerare gli oggetti dell'esperienza come "solidi in sé stessi", derivi, oltre che dalla persuasione del senso comune, dal timore di scivolare in una certa mistica delle apparenze funzionale a uno scivolamento ulteriore dentro il pensiero religioso. Questo è un pregiudizio, una paura infondata. Sono le equazioni della matematica che descrivono oggi la materia come spuma indistinta di energie raggomitolate su se stesse. Le particelle quantistiche vivono nel loro stato di sovrapposizione di tutti i loro stati possibili finché arriva qualcuno a misurarle e tutto quel caos indistinto - l'àpeiron, niente di meno -, si cristallizza in un ordine distinto.
Può davvero la materia, quando non è osservata, fare un po' come gli va, e poi, appena si accorge di essere osservata, bloccarsi, come a "un, due, tre, stella!"? La realtà materiale dei quanti, ammesso che questa definizione abbia un senso, pare si formi sotto gli occhi dell'osservatore nell'istante stesso in cui si accinge ad osservarla, l'osservatore è il Re Mida. Ma qui osservare non significa solo "guardare", significa misurare, essere in rapporto con un altro oggetto. Si capisce quindi come in una realtà macroscopica in cui tutti gli oggetti sono costantemente in rapporto fra loro, tutti gli enti ci appaiano distinti.
Memore del mio dito alluce finito improvvidamente contro il termosifone, posso allora dire con certezza che la materia esiste in quanto percezione certa e incontrovertibile di forze agenti sugli alluci, come certa e incontrovertibile è la percezione della mia unghia che se ne sta cadendo, quando la penso o quando giunge a me la percezione di una fitta. Ma fa una bella differenza comprendere che la materia non è per forza di cose un oggetto inerte che se ne sta buono buono in un angolo in attesa di un alluce da scorticare, ma è ricettacolo di forze vive che colpiscono i sensi, prima ancora degli alluci, forze attive, che si rapportano costantemente con l'osservatore: la percezione della materia è una fenomenologia.
Non riesco però ancora a convincermi che vi sia uno strappo ontologico, scientificamente provato, fra gli oggetti macroscopici e quelli microscopici: le particelle subatomiche non si comportano in modo deterministico, ma prese nel loro insieme, in grandi aggregazioni, sì. Come può l'ordine poggiare sul caos? (Arthur Schopenhauer). Buonanotte.
lunedì 21 ottobre 2013
Allo stato attuale delle cose, la fisica teorica è quanto di più vicino all'ontologia e alla filosofia teoretica senza però procurare eccessivi sensi di colpa in chi se ne lascia affascinare, in fin dei conti, pur essendo queste teorie intricatissime, esse hanno pur sempre l'alibi di una coerente struttura matematica che attende l'eventuale conferma sperimentale. Leggevo poco tempo fa di quella teoria delle brane, nata in seno alla teoria delle stringhe, che ipotizza l'esistenza di un altro universo, spalmato anch'esso su una brana adiacente, distante da noi milionesimi di millimetri, per cui parlavo di possibilità di oceani alieni compenetrati nella nostra stessa realtà, "qui" ed "ora", così vicini e così lontani, nello spazio che in questo universo è solitamente occupato dalla mia stanza. Affascinante. Da ragazzo divoravo libri di fantascienza, gli Urania, i classici degli anni '50 e il ciclo della Fondazione, e più recentemente l'Hyperion di Simmons, in cui si narrava di questa casa in cui ogni porta, praticamente un teletrasporto, conduceva ad una stanza collocata su un pianeta diverso, una casa spalmata su più sistemi planetari, ne rimasi molto colpito. E sono rimasto ancora più colpito da quest'ultima teoria della fisica che vuole spiegarsi, fra le altre cose, l'insolita debolezza della forza gravitazionale rispetto a forze di gran lunga più intense, quali, ad esempio, l'elettromagnetismo. Vi sono attualmente degli uomini di scienza, fra qui Edward Witten, L'Einstein del nostro tempo nonché fautore della M-teoria, i quali ipotizzano che le onde gravitazionali che si formano in un universo parallelo possano oltrepassare il tessuto delle brane e giungere fino al nostro più attenuate ma influendo lo stesso sulle sue leggi fisiche, per cui nulla vieta di pensare che un giorno potremo comunicare con i nostri vicini di pianerottolo, i dirimpettai della brana accanto, attraverso una specie di segnale radio fatto di gravitoni. Insomma, noi siamo qui che ci danniamo l'anima da millenni per spiegarci il funzionamento della natura all'interno del nostro cosmo e loro ci vengono a dire che gli effetti che osserviamo in questa nostra dimensione, che abbiamo perlopiù sempre pensato come unica, forse possono avere come cause primarie alcuni fenomeni autonomamente generatisi in altri universi, completamente arbitrari e per giunta a loro stessa insaputa. Che fregatura. Paradossalmente, proprio ora che avremmo a disposizione una tale salva di spunti e idee di partenza, la fantascienza pare si sia arresa alla fantasy, che intimamente ho sempre ritenuto un genere a lei inferiore. Aridatece gli Asimov, i Van Vogt, gli Arthur C. Clarke e i Philip Dick, e ancora gli Herbert, i Douglas Adams e i Brian Aldiss (il quale mi risulta ancora vivo), mi mancano tantissimo: Hugo non deve morire*.
domenica 20 ottobre 2013
Credo in un solo Dio, la Natura, Madre onnipotente, generatrice del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
Credo in un solo Signore, l'Uomo, plurigenito figlio della Natura, nato dalla Madre alla fine di tutti i secoli: natura da Natura, materia da Materia, natura vera da Natura vera, generato, non creato, della stessa sostanza della Madre.
Credo nello Spirito, che è Signore e dà coscienza della vita, e procede dalla Madre e dal Figlio, e con la Madre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti dell'Intelletto.
Aspetto la dissoluzione della morte, ma non un'altra vita in un mondo che non verrà.
(Piergiorgio Odifreddi, Il mio credo, da Il matematico impenitente)
E' in un certo senso rivelatorio che Odifreddi si dica più convinto dell'esistenza della "Natura Madre onnipotente" che delle camera a gas. Oddio, dai e dai, a forza di istillare dubbi, anch'io potrei cominciare a pensare che Primo Levi fosse un agente del mossad foraggiato dalla lobby sioniste. Ma siccome ho troppo rispetto per Levi personalmente penso che rimarrò della mia opinione. Fermo restando che sui poveri nazisti sono piovute nel corso degli anni forse critiche eccessive, è risaputo che in occasione della pasqua ebraica i kapò distribuivano doppia razione di gallette non lievitate su ordine diretto di Himmler, Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine dell'Aquila Tedesca. Ma passiamo oltre.
Aspetto la dissoluzione della morte, ma non un'altra vita in un mondo che non verrà.
Amen. Il materialista impenitente solitamente ci tiene a rimarcare questa impossibilità della vita oltre la morte, perché il suo nemico è la chiesa che promette l'aldilà e per farle uno sgarbo volentieri si tira la zappa sui piedi. Però vorrei far notare a Odifreddi una cosa: ma se Madre Natura è davvero così onnipotente, vuoi che nella sua infinità magnanimità non abbia un occhio di riguardo per il suo più affezionato profeta dell'Intelletto? Il quale le ha dedicato pure una lirica si deliziosa... Io credo che vi sia una qualche speranza di salvezza.
Per ribadire tutto il mio sdegno nei confronti di Odifreddi oggi mi accingerò a dare fuoco alla mia copia di Il diavolo in cattedra.
La mia copia di Il diavolo in cattedra è salva, posso testimoniarlo e lo farò. Leggo saltuariamente Grasso, ma è vero, mi ha ispirato lui, sono il suo pappagallo ma lui non lo sa. Il punto è che l'intendimento era ironico e se a qualcuno venisse in mente di bruciare davvero quel libro non potrà che testimoniare la sua propria idiozia. Tanto per chiarire: il testo cui si fa riferimento è questo, tratto da Ilfattoquotidiano, che pure solitamente non leggo ma ne fornisce una precisa testimonianza. In esso è incluso il passaggio incriminato:
Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra, e non avendo mai fatto ricerche, e non essendo uno storico, non posso fare altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato.
Cosa significa esattamente essere coscienti "del fatto che di opinione si tratti e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato"? E' esattamente quel "molto diversamente" che getta un'ombra di ambiguità sull'argomento. "Molto diversamente" significa forse che non solo le camere a gas sarebbero il frutto della propaganda alleata, ma anche i campi di sterminio e la caccia stessa agli ebrei? Sarebbe invece "poco diversamente" se solo quelle stesse camere a gas non fossero esistite? Non è un argomento condotto secondo regole chiare, è questo a stupirci, e il primo sono io, che su quel libro - ribadisco, ancora "vivo e vegeto" - ho approfondito i fondamenti della logica.
Per ribadire tutto il mio sdegno nei confronti di Odifreddi oggi mi accingerò a dare fuoco alla mia copia di Il diavolo in cattedra.
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Qualche precisazione sul blogger che voleva bruciare i libri di Odifreddi
La mia copia di Il diavolo in cattedra è salva, posso testimoniarlo e lo farò. Leggo saltuariamente Grasso, ma è vero, mi ha ispirato lui, sono il suo pappagallo ma lui non lo sa. Il punto è che l'intendimento era ironico e se a qualcuno venisse in mente di bruciare davvero quel libro non potrà che testimoniare la sua propria idiozia. Tanto per chiarire: il testo cui si fa riferimento è questo, tratto da Ilfattoquotidiano, che pure solitamente non leggo ma ne fornisce una precisa testimonianza. In esso è incluso il passaggio incriminato:
Non entro nello specifico delle camere a gas, perché di esse so appunto soltanto ciò che mi è stato fornito dal ‘ministero della propaganda’ alleato nel dopoguerra, e non avendo mai fatto ricerche, e non essendo uno storico, non posso fare altro che ‘uniformarmi’ all’opinione comune; ma almeno sono cosciente del fatto che di opinione si tratti, e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato.
Cosa significa esattamente essere coscienti "del fatto che di opinione si tratti e che le cose possano stare molto diversamente da come mi è stato insegnato"? E' esattamente quel "molto diversamente" che getta un'ombra di ambiguità sull'argomento. "Molto diversamente" significa forse che non solo le camere a gas sarebbero il frutto della propaganda alleata, ma anche i campi di sterminio e la caccia stessa agli ebrei? Sarebbe invece "poco diversamente" se solo quelle stesse camere a gas non fossero esistite? Non è un argomento condotto secondo regole chiare, è questo a stupirci, e il primo sono io, che su quel libro - ribadisco, ancora "vivo e vegeto" - ho approfondito i fondamenti della logica.
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Ecco la prova. E mi scuso con il signor Odifreddi se l'ho fatto arrabbiare.
La realtà è una gabbia ben congegnata, voglio dire, ci sono oggetti dappertutto, e muri, e librerie di legno impossibili da penetrare, e forse un mare, un oceano alieno, presente proprio qui, dov'è ora la mia stanza, ma collocato su una brana adiacente alla mia. Qualcuno in passato aveva pure intuito che poteva trattarsi di una rappresentazione, uno straordinario palcoscenico vivente, complicato, sì, ma governato da leggi di regolarità, come le leggi della fisica con le loro computazioni matematiche. "L'idea che la natura quale risulta percepibile dai nostri cinque sensi abbia il carattere di un cruciverba ben congegnato è frutto di un atto di fede", Alberto Einstein. Per rendercelo più appetibile ci hanno pure aggiunto i sentimenti e i legami affettivi, e tutta una serie di illusioni e fascinazioni, di fedi, speranze e carità, e sotto di noi - o sopra, o dentro - l'enorme caldera dell'Es, "forze ignote e incontrollabili da cui noi veniamo vissuti", eros e thanatos, pulsioni di vita e terrore di morte, legati talmente stretti l'uno all'altro da essere, in particolari condizioni di spirito, praticamente indistinguibili ("la petite mort", dicono i francesi). E calati dentro questo grande affresco, noi, che siamo divorati dalla curiosità di sapere a cosa andiamo incontro e che siamo destinati a non saperlo fintanto che l'essere è, quando è. C'è da sperare che ci diano almeno una medaglia.
Vi fu un tempo in cui il pacifico Benjamin Constant si oppose con sdegno al seguente argomento kantiano: vista la natura vincolante dell'imperativo categorico che ci impone di non mentire, e si intende di non mentire mai, in nessun caso, se per ipotesi bussasse alla mia porta un amico inseguito da un assassino e io mi impegnassi a nasconderlo in casa per evitargli il danno, qualora quell'assassino mi chiedesse il suo nascondiglio io sarei tenuto ugualmente a mostrarglielo dicendo la verità per non venire meno al vincolo del precetto morale. Caso personale, se io mi trovassi in quella stessa situazione probabilmente mentirei sapendo di mentire, sentendo dentro di me di essere comunque colpevole di fronte al mio dovere ma scagionato di fronte al mio amico, quindi, non temete, potete star tranquilli. Ma non è questo che mi premeva dire. Poniamo il caso che si presenti a casa vostra Pier Ferdinando Casini inseguito da Mario Monti, il quale, perso il suo tradizionale aplomb, si è messo in testa di strozzalo a mani nude, voi, che siete di buon cuore, offrite a Casini un nascondiglio sicuro ma nel frattempo Monti vi raggiunge e bussa alla vostra porta: contravvenire all'imperativo categorico o tenere ben salda la barra del timone?
giovedì 17 ottobre 2013
Ho abbandonato in questo periodo la cura per le cose del mondo, vivo una sorta di esperienza mistica, nel senso di esperienza dei misteri che avvolgono la vita. Da questa torre eburnea in cui ho trovato dimora di tanto in tanto mi giungono però gli echi di questioni più terrene, quali, ad esempio, l'intervista di Scalfari a Bergoglio. Vi ho mai raccontato di quando andavo in chiesa? Ero piccolo, mi ci portava una vicina di casa, la Signora Giovanna. E c'era un bambino che ogni volta sfuggiva alla madre e scorrazzava in lungo e in largo per l'altare urlando in modo inopportuno, come solo i bimbi sanno fare quando non sono edotti sulle questioni liturgiche, mettendo mano alle candele e disturbando i chierichetti, insomma, combinando un sacco di guai. Il prete non diceva niente e io mi vergognavo come un cane per lui, per quel bambino che di certo non si vergognava. Ecco, io sono nella condizione oggi di vergognarmi per Scalfari e Bergoglio, anche se di certo loro non si vergognano.
Dice Francesco rivolto a Mazzini, cioè a Scalfari: "Si domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le pone anche un bambino queste domande. E lei?". Io, da bambino, queste domande non me le ponevo e qui potrebbe insorgere una nevrosi se non fosse che a parlare è Bergoglio, vale a dire niente.
Risposta di Scalfari: "Le sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti." [...] "L’Essere è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campi magnetici, i loro elementi chimici, che si combinano casualmente, evolvono, infine si spengono ma la loro energia non si distrugge. L’uomo è probabilmente il solo animale dotato di pensiero, almeno in questo nostro pianeta e sistema solare. Ho detto è animato da istinti e desideri ma aggiungo che contiene anche dentro di sé una risonanza, un’eco, una vocazione di caos."
Sopra una base di Schopenhauer stendete un velo di Nietzsche stemperato in soluzione heideggeriana, guarnite a piacere con abbondanti dosi di pensiero scientifico più una spruzzatina di Maxwell e Mendeleev e scagliettine di pensiero vagamente greco, et voilà, eccovi servito il vostro materialista. Le riflessioni filosofiche di Scalfari devono essersi fermate alla quarta liceo e ad approfondite letture delle dispense di Focus seduto sulla tazza del water. Ora, la domanda è questa: possiamo noi immedesimarci e palpitare per interlocutori si mediocri? La risposta è ovviamente no.
("Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere". Cos'è, un riferimento al Big Bang o forse alla fluttuazione quantistica dei campi elettromagnetici, oppure alla radiazione di Hawking o allo scoppio del Grande Raudo da cui tutti noi proveniamo? Non si sa, non ci è dato sapere).
("Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto di esplodere". Cos'è, un riferimento al Big Bang o forse alla fluttuazione quantistica dei campi elettromagnetici, oppure alla radiazione di Hawking o allo scoppio del Grande Raudo da cui tutti noi proveniamo? Non si sa, non ci è dato sapere).
mercoledì 16 ottobre 2013
Per chi volesse leggere qualcosa di interessante attorno al problema della cosiddetta "realtà esterna alla mente", da un punto di vista scientifico e quindi implicitamente filosofico, consiglio vivamente un libro del sempre ottimo e compianto prof. Enrico Bellone*, storico della scienza e già titolare della cattedra galileiana all'Università di Padova: Qualcosa, là fuori. Come il cervello crea la realtà.
"Quando dico "Piove" o "Il Sole sorge" non sto usando il libero arbitrio: sto descrivendo fasci di sensazioni, e queste ultime non dipendono dalla mia volontà o dalle mie intenzioni. Ecco perché, se sono accanto a una persona e le dico "Piove" o "Sorge il Sole", è probabilissimo che quella persona sia d'accordo con me: i suoi organi di senso e il suo cervello assomigliano ai miei, e sentono come i miei. Ecco perché il consenso è grandioso attorno alle descrizioni regolate dal senso comune.
In secondo luogo, però, le norme basilari del senso comune sono continuamente contraddette da ciò che la scienza esprime con le leggi della natura. Come è possibile che ciò accada?"
martedì 15 ottobre 2013
La filosofia sarebbe capace di dare all'animo quel torpore e quella possibile noncuranza che ho detto essere piacevole. Ma come questa benché assopisca la speranza, nondimeno in fondo la contiene, anzi talvolta l'accresce, mediante lo stesso non curarsi di nulla, e la stessa disperazione, così la filosofia che per se stessa spegne del tutto la speranza, non può cagionare all'animo uno stato piacevole, se non essendo una mezza filosofia, ed imperfetta (qual ella è ordinariamente), o quando anche sia perfetta nell'intelletto, non avendo influenza sull'ultimo fondo dell'animo, o rinunziandoci avvedutamente essa stessa (26 settembre 1821).
Giacomo Leopardi.
Supponi che la natura ti dica: "Questi mali di cui ti lamenti sono uguali per tutti; non posso darne a nessuno di più intollerabili, ma chiunque vorrà se li renderà più tollerabili."
In che modo?
Con l'Imperturbabilità.
E bisognerà che tu soffra e patisca la sete e fame e invecchi (se ti toccherà di rimanere a lungo fra gli uomini) e ti ammali e ti consumi e muoia. Tuttavia, non c'è ragione di credere a quelli che gridano intorno a te: nessuna di queste cose è un male, nessuna è insopportabile o penosa.
Fanno paura perché tutti dicono che fanno paura.
Seneca. Lettera a Lucilio, 91, 18-19
domenica 13 ottobre 2013
Impossibile agire diversamente da come si agisce, vale a dire che è impossibile vivere diversamente da come si vive, o ancora, impossibile prendere decisioni diverse da quelle che si prendono. Tautologia? No, rigoroso realismo. Non si è mai visto su questa terra accadere qualcosa diversamente da come accade, che alle spalle di un fatto che accade vi sia una legge naturale che ne garantisce l'assoluta arbitrarietà ("poteva accadere o non poteva accadere"), è una forzatura, o un assunto che non può essere provato sperimentalmente né falsificato, quindi privo di valore scientifico. Per questo non mi devo sentire in colpa nel pensare che tutto accade secondo destino, mi sento più sollevato, la fortezza stoica è inespugnabile.
La chiesa positivista di Comte concepiva l'aldilà come sopravvivenza nella celebrazione e nel ricordo, bella consolazione. Quanto erano patetici i protoumanisti quando tentavano di salvare il salvabile e analogamente tutti coloro che tentarono di divinizzare l'Umanità per compensare la cosiddetta "morte di Dio". Che poi non si è mai capito bene chi è morto, se il dio cattolico e delle religioni in generale e con essa la morale, oppure l'idea indistinta di un qualche principio supremo che crea il mondo e che lo salva o lo distrugge a suo piacimento, oppure ancora l'idea di un dio che attende al funzionamento del cosmo e delle leggi della fisica senza metter becco sopra le altre questioni. Oppure il bisogno stesso di Dio. Chi è morto? Può morire un mito, cioè una finzione, per dirla alla Michel Onfray? Il quale trovo altresì semplicione con quelle sue idee molto francesi a proposito di materialismo gaudente e liberazione del corpo, passami un panetto di burro che mi taglio le vene (Ultimo tango a Parigi docet). No. I materialisti ci lasciano con il culo per terra, soli ad affrontare una fine orribile e poi, vista la mal parata, tentano di addolcirci la pillola con i loro zuccherini a scadenza: sii felice fintanto che sei vivo. Ma vuoi mettere la gioia eterna con il piacere corporale accidentale e temporaneo, quando ti va bene e se ti regge la pompa? Ma non c'è proprio paragone. Sfido io che Dio non muore se l'alternativa è questa! Dio non morirà finché non sarà possibile alla scienza di renderci immortali, tutti immortali, qui ed ora, in questa dimensione materiale, e di prolungare all'infinito quel piacere edonistico che il materialismo ci ha suggerito come soluzione ma che per forza di cose ci potrebbe essere definitivamente negato da un momento all'altro. Il materialismo è ancora troppo poco (in ultima analisi quello fra la Scienza è Dio è uno scontro fra tecniche di salvataggio, chi la spunterà sarà il nuovo padrone).
venerdì 11 ottobre 2013
Sono triste. Mi è rimasta la cena sullo stomaco, ho finito l'effervescente e il bicarbonato è scaduto. La morte si avvicina inesorabile e io non ho combinato niente nella vita. Scomparirò, non lascerò traccia di me e se anche la lasciassi a che mi servirebbe? L'unica consolazione è che moriremo tutti, non crediate di scamparla. L'amore? Un apostrofo rosa fra le parole "sei morto". In certe condizioni di spirito, stremato dalla spossatezza, l'evidenza della morte mi sembra ancor più salda dell'evidenza della vita. Questo attimo di infelicità era da sempre destinato a scaturire in me in questo istante, e sempre sarà e ritornerà ad essere, eternamente. Che inculata.
giovedì 10 ottobre 2013
Sono felice. Sono scampato per un pelo al diluvio, il brodino di vitello è sul fuoco, appena nel pentolino si paleserà l'evidenza del moto browniano ci verserò dentro i sempre ottimi tortellini del Commendator Rana. Nelle considerazioni riguardo al senso dell'esistenza bisognerebbe tener conto anche della fortuna di poter guastarsi un piatto caldo nella propria tana quando fuori diluvia, così come diceva Sir Betrand Russell, la felicità che scaturisce del saper badare a se stessi. Mi sono seduto a tavola, con il brodino fatto da me medesimo, mentre il mondo tutto intorno era acqua e mi sono detto: va be', sarò pure solo, ma mi sembra di essere felice. In certe condizioni di spirito, addolcito dalla spossatezza, l'evidenza della felicità mi sembra ancor più salda dell'evidenza del tempo. Questo attimo di felicità era da sempre destinato a scaturire in me in questo istante, e sempre sarà e ritornerà ad essere, eternamente. Che ficata.
mercoledì 9 ottobre 2013
"Now Besso has departed from this strange world a little ahead of me. That means nothing. People like us, who believe in physics, know that the distinction between past, present and future is only a stubbornly persistent illusion".
Dunque lo scorrere del tempo sarebbe la più cocciuta e ostinata delle illusioni, almeno quanto l'illusione stessa della materia. E' un grande fisico a dircelo, l'uomo del secolo (scorso). Con questo non voglio offrire facili scappatoie al terrore morte, ci mancherebbe, ma mi affascinano i cambi di paradigma, e cioè la possibilità di mantenere intatte le strutture formali, coerenti al loro interno, cambiando però l'esterno, cioè le loro premesse. Guai a mettere in discussione l'attuale paradigma atomistico, noi uomini contemporanei dobbiamo morire male, disgregati in tanti piccolissimi pezzettini corpuscolari i quali, una volta liberati dalla gabbia corporale, vagheranno liberi nello spazio, liberi di reincarnarsi in fiori, uccelli, rocce, terra, aria, fuoco, acqua oppure peli del culo. Se volete è anche una visione molto classica, certamente democritea, ma pure platonica ed epicurea. Eppure i fisici stessi ce lo dicono, non i filosofi che raccontano le favole, ma i fisici, i veri sacerdoti della modernità. Passato, presente e futuro sono un'illusione, la morte non significa nulla. I mistici indiani saranno contenti, la fisica ha fatto un gran giro dell'oca per ripassare dal via, sarà contento Parmenide, che proprio in questo momento si sta godendo beato la sua percezione eterna di tutti gli stati passati, presenti e futuri, tutti, dalla prima intuizione sull'essere e il nulla alla prima volta che si è fatto Zenone, e probabilmente anche la comprensione di tutte le implicazioni della teoria della relatività generale e ristretta. Detto questo, per coerenza e solidarietà verso i miei amici mortali, qui lo dico e qui lo ripeto: io voglio morire male come voi, disgregato a poco a poco oppure sublimato, secondo le regole della fisica così come la conosciamo allo stato attuale delle cose, la mia coscienza unitaria voglio che sia stata generata dal nulla e voglio che ritorni ad essere un nulla. Delle teorie delle stringe poi non ne parliamo, difficili da confermare sperimentalmente in quanto spintesi in regioni talmente lontane dall'esperienza comune che il noumeno kantiano, al confronto, è un gelato alla vaniglia (il suicidio della fisica, sembra si stia impiccando con le mani sue imbrigliata dalle sue stesse premesse).
lunedì 7 ottobre 2013
Sono a casa da solo e non ho fatto niente, ho preparato solo un brodino di carne e aggiunto a letto una copertina di vitello e sono già stravolto. Va be', ho lavato pure i piatti e ho tirato l'aspirapolvere. Mi domando perché lo faccio, forse se laverò più piatti e rimboccherò più coperte mi sarà risparmiata la seccatura della morte? Dopo 12.000 metri percorsi con la scopa elettrica si vince forse l'immortalità? Ma che senso ha tutto questo? Sono felice quando mi dimentico di esistere. Quando non mi dimentico di esistere invece sono nervoso, mi viene l'ansia, dormo male e mangio ancora meno. Per fare un brodo come Dio comanda bisogna dimenticarsi di esistere, esiste solo il brodo. Non è una ricetta per la felicità, non ha a che fare con la forza di volontà, è un puro dato di fatto, una fortuita coincidenza dello spirito. Anni fa, in preda ai crampi della depressione (crampi che si protraevano ormai da un paio d'anni), lessi un celebre saggio di Sir Bertrand Russell, "La conquista della felicità".
Così io ammiro più i morti che sono già morti più dei viventi che sono ancora vivi. Sì, e meglio degli uni e degli altri è colui che ancora non è stato (Ecclesiaste).
Da buon pragmatico qual era, Sir Bertrand suggeriva, tra l'altro, di dedicarsi attivamente a tutte quelle pratiche necessarie alla propria sopravvivenza, quali, ad esempio, trovarsi un lavoro, conquistare l'indipendenza, farsi il bucato, farsi le amiche. La lotta per la sopravvivenza avrebbe allontanato a poco a poco tutte le macabre elucubrazioni sul senso dell'esistenza e ricondotto lo spirito entro il suo alveo naturale: il conatus, lo sforzo per mantenersi in vita, l'istinto di autoconservazione. Non mi convinse. Scacciare il male di vivere attaccandosi maggiormente alla vita, come dire: mettere il dito nella fiamma per non scottarsi. Risolsi con la filosofia stoica, la quale mi pare ancora oggi la più ragionevole delle pratiche: accetta il destino, ricordati che devi morire, la vita è quella sabbia mobile in cui più ti dimeni e più ci anneghi. Non credo che troverete altrove pagine più dense di significato.
domenica 6 ottobre 2013
Si tratta veramente di parricidio? Da Angelino non me lo sarei mai aspettato. E' un po' come vedere Alcibiade pugnalare alla spalle il buon vecchio Socrate (sarà stato l'abbraccio mortale di Pannella, un menasfiga...). Qualcuno, ad un certo punto, deve avere applicato al caso italiano la teoria dei giochi, anche contravvenendo alle premesse di essere consapevoli delle conseguenze di ogni singola mossa e infatti ogni giocatore giungeva a conclusioni diverse. Un improvviso miglioramento delle condizioni del tessuto spazio-temporale ci sta permettendo di lasciarci alle spalle il berlusconismo, tuttavia non si escludono rovesci. Dove stiamo andando non si sa, ma ci stiamo andando a cuor leggero. Non so se a voi, da italiani, vi prende mai una certa vertigine, quell'improvviso disvelarsi dei veli che precede l'apparire del nulla, e intendo il nulla politico, sociale ed economico in cui consiste essenzialmente questa misteriosa entità chiamata Italia. E' un mistero di natura ontologica, solo il pulcino pio ci può salvare.
Posto paradossalmente che il terrore della morte è sia la causa della perdita del senso della vita sia l'unico argomento per continuare a vivere, ora possiamo passare ad analizzare, con occhio smagato, le ultime vicende del declino di B., giunto, a quanto pare, al suo tipping point.
B. è la quintessenza della vanità, vive per essere ricordato, magari come padre nobile della patria, e perseguitato, per giunta, dalla giustizia di un regime ingiusto e totalitario, come Silvio Pellico (non sarà un caso che abbiano a ritrovarsi lo stesso nome di battesimo).
Non è forse B. il paradigma stesso della vanità vuota, del conatus che lo spinge a vivere e a darsi un senso che a lui pare così magnifico, così cogente rispetto a quello altrui, e a noi pare invece così miseramente vano?
Nell'illusione di essere dei magnifici interpreti dello spirito del tempo si specchia la vanagloria di molti grandi statisti, fortunate le ragazze madri che se lo ritroveranno davanti al consultorio, la vecchina che se lo vedrà recapitare a casa assieme alla spesa, gli studenti con difficoltà di apprendimento che avranno modo di apprezzarlo come insegnante di sostegno, B. ha ora l'occasione più unica che rara di aspirare alla santità, non se la lasci scappare.
La vita non ha alcun senso. Già all'età di diciannove anni, se ricordo bene, ero giunto alla conclusione che la vita non ha alcun senso e più nello specifico che non ha alcun senso vivere se poi ci attende la morte. Ero un esistenzialista ancor prima di interessarmi di filosofia, inutile ricordare che già da bambino perdevo regolarmente la voglia di giocare e di essere felice, perdevo il divertissement, e questo pur non avendo ancora davanti a me né il pensiero della morte né tanto meno quello di Pascal. Poi, finita la maturità, mi dissi che se la pensavo davvero così l'unica soluzione era il suicidio, ma non avevo il coraggio, ero curioso di vedere come sarebbe andata a finire, mi pareva uno spreco suicidarmi prematuramente, e poi non sarebbe stato bello per chi restava. Per cui, grazie all'idea indistinta dello spreco e di questo senso di responsabilità nei confronti di chi non avrebbe capito, sono arrivato fin qui e ora mi accorgo che oggi come allora la penso esattamente all'identico modo: che la vita non ha senso, che l'unica certezza è la morte. La morte è quell'argomento che in ultima analisi mi rende impossibile apprezzare la vita. Si dice: non pensarci. Non ci riesco. Mi sono sforzato di trovare argomenti migliori ma non ne ho trovati. Ora, più che l'idea dello spreco, mi dissuade la paura della morte. Per cui la mia vita si fonda oggi sul terrore di una cosa in sé ineluttabile, per nulla indistinta, anzi, ben presente nella sua essenza. A questo punto si cita Epicuro, ma la sua idea che quando ci siamo noi non c'è la morte e quando c'è la morte non ci siamo noi, lungi dall'essere consolatoria mi rende la cosa ancora più insopportabile (un tetrafarmakon scaduto). Mi sono trovato nell'impossibilità di darmi alla fede, credo di essere geneticamente incompatibile. Mi trovo nell'impossibilità di avere fiducia nella scienza, mi pare che non sia un rimedio abbastanza saldo, anzi, piuttosto estemporaneo e alimentante quello stesso terrore. E quindi? E quindi nulla, continuiamo a vivere senza senso nell'intima convinzione che non ne giungerà mai uno, finché un giorno morirò, come tutti su questo mondo, e io, voi e tutta quanta questa inutile pantomima del vivere si spegnerà per sempre e definitivamente senza lasciare alcuna traccia di sé e delle sue ragioni, viviamo in sostanza per perdere tempo e per occupare spazio e per lasciarlo libero, al momento debito. Se a questo punto vi ho tolto anche solo una briciola della vostra voglia di vivere sarei anche contento, significa che so ben argomentare. Un'ultima cosa: non sono per nulla convinto che la depressione sia da considerare una malattia, al contrario, è un eccesso di lucidità, e la questione per cui guarire significa sostanzialmente essere obnubilati, indeboliti nella propria capacità di vedere e di comprendere, non fa che confermare la poca opinione che ho di questa prevalente condizione mortale.
sabato 5 ottobre 2013
Dobbiamo spogliarci della mondanità dice il papa (mica ceci), ma che cos'è questa mondanità? E' lo spirito del mondo: "La mondanità che ci porta alla vanità, alla prepotenza, all'orgoglio. E questo è un idolo, non è Dio, e l'idolatria è il peccato più forte". E ancora: "E' tanto triste trovare un cristiano mondano, sicuro, crede lui, di quella sicurezza che gli dà la fede e sicuro della sicurezza che gli dà il mondo".
Le solite fregnacce. Quanti buoni cristiani, pilastri della comunità, ricchi più di capitale che di spirito con le loro donazioni e i loro lasciti post mortem vanno a sostenere la Chiesa mondana? I mobilieri di Cantù erano tanto cristiani e così sicuri del loro mondo fatto di trucioli... mettiamo il caso che esista un ospizio cristiano intitolato a un beato in odor di santità, io non faccio nomi, ma diciamo per ipotesi. Il giorno in cui i parenti tutti, o nel peggiore dei casi solo alcuni, non riusciranno più a pagare la retta, dai caveau spirituali dell'amministrazione cristiana giungerà una proposta che ai più sembrerà del tutto decente: ci prendiamo la casa. Ma, badate bene, prima valuteranno quanto possono ricavarci, perché se la casa del povero nonnino, per una ragione o per l'altra, risulterà avere uno scarso valore di mercato, state pur certi che questa combriccola di mistici non perderà l'occasione di farvelo notare. E il valore affettivo? Non si traduce in soldi. Per cui lasciamo perdere i discorsi sulla mondanità, che le troie sono più rispettabili.
mercoledì 2 ottobre 2013
Rettifico: «Enrico, dobbiamo un gallo ad Angelino Salvatore, dateglielo, non ve ne dimenticate». Fedone (118a).
martedì 1 ottobre 2013
Prevedo l'intensificarsi di impegni lavorativi e quanto mi dispiace, mentre a fare quello che vorrei non mi dispiacerei mai. Lasceremo da parte i libri per ritornare alla pagnotta, sta gran fija de 'na mignotta. Dovrò mettere da parte anche le mie osservazioni sul gradiente di densità delle soluzioni madreperlacee, studi che conduco periodicamente fin dall'adolescenza, e non è giusto, qui si fa un torto all'umanità. Oggi per esempio mi sono messo a correre per non perdere l'autobus e a un certo punto la mia unghia - o meglio, la percezione sensoriale di quel che resta della mia unghia - mi ha detto: "che cazzo fai?". In ogni parte del tutto è conservata la coscienza dell'intero, non si spiegherebbe altrimenti l'accaduto. Ritornando alle divagazione quantiche, mi dicono che non ha senso chiedersi dove si trovava la particella prima di essere misurata. Secondo il modello comunemente accettato dai fisici quantistici la particella si trova nella sovrapposizione di tutti i suoi stati possibili, in una condizione che potremmo definire "platonica" o persino "parmenidea". Poi arriva l'osservatore e la pesca bendato dal bussolotto, come nel bingo, sottraendola al suo stato metafisico per farla riemergere nel mondo sensibile. Vi sto suggerendo che la fisica utilizza categorie filosofiche per dare fondamento ai suoi modelli scientifici. Nel frattempo la SSC Costa Crociere Napoli ha perso con l'HMS Arsenal e i miei vicini non se ne danno ragione, noi qui stiamo a dire che i fisici non si danno ragione dell'atomo e loro di là che non si danno ragione del pallone, e vabbuò.
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