E' indubbio che la cultura contemporanea (Marx compreso) tende a ricondurre la filosofia al filosofo, cioè a mostrare che il modo in cui il filosofo vive condiziona ciò che egli pensa. In questa prospettiva si è portati a ritenere che se un filosofo vive come complice del capitale, anche la sua filosofia è complice del capitale. Una ventina d'anni fa J. O. Wisdom ha scritto un libro per mostrare che il disgusto ossessivo per le feci da parte del piccolo Berkeley (il futuro grande filosofo e vescovo anglicano) sarebbe stato la condizione fondamentale della sua ostilità verso la materia, culminata poi nel suo immaterialismo filosofico. Ma come l'immaterialismo non è liquidato dall'osservazione psicoanalitica che le difficoltà della fase anale del piccolo Berkeley hanno favorito l'insorgere di un atteggiamento critico nei confronti del concetto di materia, così una filosofia non resta liquidata dal semplice rilievo sociologico (ripetuta fino alla monotonia dalla "mezza cultura" marxista) che essa è la filosofia di un borghese o di un piccolo borghese.
(E. Severino, Téchne)
Questa della coprofobia di Berkeley come elemento fondante dell'immaterialismo è veramente eccezionale. Rivoltando la tesi e la diagnosi, forse potremmo affermare che un coprofilo è intimamente materialista? Io non sono del ramo, ma se esistesse una proprietà commutativa degli stati psicologici le implicazioni potrebbero essere davvero sconvolgenti.
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