martedì 31 marzo 2015

Vexata quaestio

Ho seguito un intervento di Cacciari sulla democrazia che non sto qui a postare perché troppo lungo e a tratti anche noioso, tuttavia devo dire che mi trovo perfettamente d'accordo con lui, nel merito la pensiamo allo stesso modo. Con la democrazia rappresentativa è come se eleggessimo un'élite aristocratica, nel senso di "governo dei migliori", ci si va a fidare, abbiamo fede che possano essere migliori di noi in quanto a competenza. E in effetti, chi di noi può dirsi competente nel merito delle questioni specialistiche che deve affrontare un esecutivo? Questo l'ho sempre pensato pure io, non è un segreto. E soprattutto oggi in epoca di egemonia dell'economia sulla politica, chi può dire di saperne abbastanza da essere in grado di scegliere con cognizione di causa? La democrazia, in questo, è un atto di fede. Bisogna avere l'istinto del piviere per andarsi a scegliere l'insettino migliore. E chi si lamenta o vagheggia un ritorno al modello della democrazia ateniese, si ricordi, dice il professore, che la base elettorale della democrazia ateniese, la struttura stessa della società, era del tutto diversa da quella odierna (verità lapalissiana ma ridotta a cosa di poco conto dai folgorati sulla via dell'Antica Grecia, così ideale proprio perché così lontana). Viviamo nell'oscurità riguardo non solo allo scopo dell'esistenza in generale, ma anche riguardo alle competenze che dovremmo possedere, per cui ci riduciamo a votare di pancia o per simpatia, non ci lamentiamo se poi quelli ci prendono per stanchezza o per demagogia.

Apoftegma

Se togliete all'uomo quell'insieme di istinto di sopravvivenza e di pulsioni sessuali (se togliete gli inganni della natura, per dirla alla Schopenhauer), e cioè quella specie di 'BIOS' che troviamo iscritto nel nostro essere e ci spinge a vivere e persistere fra le cose divenienti, di colpo si squarcerà il velo e ci apparirà chiaro come un qualsiasi essere vivente valga esattamente l'altro. Vale a dire che tutti noi, in termini squisitamente esistenziali, valiamo esattamente quanto il virus dell'influenza o una piantina di pomodoro. Che poi la nostra specie, nel momento in cui si è accorta di esercitare un certo dominio sulle altre, si sia creduta in qualche modo superiore fino a ipotizzare una predilezione divina nei suoi confronti, be', questo è essenzialmente un problema di presunzione. E non può che iscriversi nel problema anche tutta la tradizione dell'umanesimo laico e illuminista, la quale, costretta dalle circostanze, intende fare oggetto della propria venerazione l'umanità stessa, inclusa di retorica dei diritti umani e del progresso scientifico, quando non di un'eventuale adesione dionisiaca alla vita. L'autocoscienza, si dirà, questo è l'impronta peculiare dell'umanità, noi ci rendiamo conto di vivere e del fatto che dobbiamo morire. E che ne sappiamo noi dell'autocoscienza della povera zebra quando è inseguita dal leone, forse che non si rende conto d'essere esposta al pericolo più estremo? Anche lì sono all'opera meccanismi di autoconservazione del tutto analoghi ai nostri, c'è il 'BIOS', c'è la Volontà, c'è quel bouquet di «forze ignote e incontrollabili da cui veniamo vissuti»: vivere non è che l'essere dispersi nel moto browniano della perpetuazione delle specie.

lunedì 30 marzo 2015

Rinascimento toscano

A monte di tutti 'sti casini c'è sempre lei, la globalizzazione, che a forza di dirlo ci siamo assuefatti come alla musica delle sfere. Vuoi combatterla? Accomodati. Renzi il Magnifico ce la sta mettendo tutta per vincere le sfide lanciate dalla modernità, non ha tempo da perdere con D'Alemi, Civati e Landini dei miei stivali. Spezzeremo le reni alla Cina, rinascimento toscano (è l'unico pezzo d'Italia con un adeguato appeal internazionale, un brand fortissimo, più del Molise). (vuoi promuovere il Molise? Accomodati). Con Draghi alla BCE e Renzi al governo i fatti stanno a mille e le chiacchiere a zero (ci manca solo Silvio sindaco di Milano come premio di consolazione e il quadro è completo).

domenica 29 marzo 2015

Atarassia

Dobbiamo imparare a guardare le piccole cose della politica da distanze siderali, come dei che considerino l'universo nel suo complesso e solo per indolenza si mettano a żumare sulla minutaglia, sui numeri da circo, sulle acrobazie da saltimbanco, perché vista da troppo vicino la politica si riduce essenzialmente a sfiatatoio di passioni elementari, le stesse di sempre: vanagloria, risentimento, vanità. Prima di metterci piede, dunque, indossate lo scafandro e puntate l'orizzonte, guai a guardarla negli occhi e attenzione alle dita.

sabato 28 marzo 2015

Delle basi fisiologiche del capitalismo

A questo punto la questione è essenzialmente economica, a torto o a ragione l'economia guida l'agenda politica e questo dà modo anche ai rimasugli del marxismo di rientrare in partita. Dunque da un lato chi si muove nel sistema economico globale e cerca la soluzione al suo interno, dall'altro la vasta costellazione degli antagonisti, dai keynesiani di ritorno ai massimalisti di vario genere e natura che sognano tout court una società più libera e giusta. Ma basta, mi domando e dico, una coalizione sociale che susciti e favorisca la solidarietà fra gli oppressi per addomesticare il mostro capitalista e generare come per incanto la concordia e la risoluzione dei conflitti sociali? Io vedo queste due pulsioni in lotta, pulsioni prima di tutto psichiche, l'una che intende il benessere come aumento indefinito della felicità (e possiamo ascriverla al capitalismo e all'incrollabile fiducia in un progresso inarrestabile e sempre incrementabile), l'altra che vede nella limitazione dell'avidità e della cupidigia la condizione essenziale per aspirare al benessere generale (e possiamo ascriverla a tutti i movimenti che fanno appello al senso della misura, alla sobrietà, alla frugalità, all'uguaglianza, a quei movimenti che tendono a considerare il lusso e la ricchezza come una colpa). Facile comprendere perché l'occidente prediliga il primo movimento al secondo, perché l'intima aspirazione di ogni cosiddetto "proletario" è quella di diventare un "borghese", non certo di accontentarsi della giusta quantità di ricchezza messa a disposizione per lui dagli amici del popolo (una società simile può reggere nell'emergenza, e cioè nella fase di uscita da uno stato di indigenza o di profonda diseguaglianza, ma quando un certo grado di benessere è raggiunto stabilmente non è sempre possibile tenere a bada la legittima pulsione a desiderarne sempre di più). (in genere si prediligono le soluzioni aperte a quelle chiuse).

mercoledì 25 marzo 2015

Della fine di tutte le cose

Un giorno siamo vivi e pieni d'onori e di progetti, il giorno dopo i nostri poveri resti giacciono sparsi su di un monte a far da colazione ai lupi e compagnia agli stambecchi. La cosa è talmente eclatante che per continuare a vivere siamo costretti a distogliere lo sguardo, alfine la millenaria epopea dell'uomo si riduce a questo: un'inutile e incomprensibile farsa (e sono pure di buon umore).

lunedì 23 marzo 2015

Del moralismo logico

Stavo leggiucchiando la storia della filosofia di Bertrando Russell, non avevo niente da fare. Qualche spunto interessante, perché è sempre utile approcciare la storia della filosofia da diversi punti di vista, ma non vi dico il fastidio che mi prende quando un filosofo, specialmente libertino e libertario come il Bertrand, insiste e si sofferma sulle ricadute etiche di un certo sistema filosofico cercando di annoverarle fra le prove a sfavore. Pare sia una specialità degli inglesi quella di farti la morale. Così ancora a rimbrottare Hegel per il fatto che il suo sistema porterebbe a quella certa compiacenza etica per cui «qualunque cosa sia, è giusta» (e Schopenhauer ha spinto la vecchia giù per le scale, bel buddista che era). Ma chi se ne importa delle conseguenze etiche! Qualunque cosa sia, prima di tutto, è (giusta o sbagliata che sia), poi interviene la sensibilità a formare i giudizi morali ed è un altro paio di maniche (qualcuno si è mai scandalizzato per il fatto che gli atomi non guardano in faccia a nessuno?).

domenica 22 marzo 2015

Dell'impossibilità di sfavorire i figli

A leggere della carrellata di politici che si sono inguaiati per via dei figli m'è venuto da pensare che non già ai preti bisognerebbe prescrivere la castità, ma a tutti coloro che si occupano della polis. Di più, per non correre il rischio che favoriscano in ogni caso la parentela, occorrerebbe prelevarli dalle loro culle ancora in fasce e forgiarne l'attitudine politica sopra un'isola deserta tenuti a riso e fagioli, come sull'Isola dei Famosi o alla maniera della Repubblica di Platone. Intendiamoci, non che ritenga di per sé proibito attivarsi per dare un futuro ai figli nell'azienda di famiglia, la cosa salta più all'occhio se l'azienda di famiglia diventa il ministero delle infrastrutture. E con le grandi dinastie politiche americane, mi direte, come la mettiamo? Non mi si dirà che il clan dei Bush o dei Clinton non abbiano già pronta una rete di conoscenze ed amicizie altolocate all'interno della quale giocarsi la propria personale vicenda familiare? Il confine è labile, il nepotismo è stabile, ovunque conta di più il giro che frequenti del curriculum personale, conta il cognome, la referenza, la segnalazione, basta solo non esagerare.

sabato 21 marzo 2015

Untermenschen


I tedeschi si sono accorti di non essere molto popolari al di fuori dei confini nazionali e di non incontrare, per così dire, le simpatie degli europei in generale e dei popoli meridionali in particolare. Niente di più facile per noi poveri Untermenschen che pensare alla continuazione del Terzo Reich con altri mezzi. Dal traduttore di Google: "The Germans still regard Italians as Untermenschen, fit to run a neighborhood pizzeria, but not to have an equal say in the future of Europe". E non vi dico cosa pensano dei greci. Eppure a guardare Squadra Speciale Cobra 11 non li diresti così antipatici. E chi l'avrebbe mai detto che l'ispettore Derrick nascondesse in una cassa i suoi cimeli nazisti? Sarebbe stato più simpatico se gli avessero trovato un pene d'ebano, commovente souvenir della campagna d'Africa. Bisogna ammetterlo, è gente seriosa e perlopiù tutta d'un pezzo, culturalmente predisposta alla supremazia, per la quale coltivano la stessa passione che noi mettiamo nella pizza. (con i tedeschi non sarà mai possibile andare d'accordo, ci tratteranno sempre con sufficienza, l'unica vera soluzione sarebbe sterminarli tutti. Scherzo).

Il latitante

"225. Il latitante non è uno che applica per sé la grande massima di Epicuro «vivi nascosto»? E allora perché gli si dà la caccia per infliggergli una pena? Per farlo vivere più nascosto in una prigione di Stato? Il latitante più imprendibile è Dio, da migliaia di anni gli diamo la caccia e sappiamo che il suo vivere nascosto - da ben prima di Epicuro - è per sempre". 

(Guido Ceronetti, Insetti senza frontiere)

Alle cascine messer aprile fa il rubacuor

Non immaginate nemmeno quanto sia stato in questi giorni distratto dalla realtà, la realtà è subdola, penetra dentro l'essere e lo contamina, lo intaglia a sua immagine e somiglianza, sgretola e riconduce a un contesto più generale tutto l'idealismo particolare coltivato in gioventù. Per non tradire certi altissimi ideali bisognerebbe vivere isolati dal mondo, considerare cose e persone come concetti puri privi di smanchi e ammaccature, gli enti come perfettamente corrispondenti a un'immagine data. Così, segnati dallo stress dell'economia di mercato e della competizione globale, a qualcuno talvolta prende una certa nostalgia d'un avvenire comunitario, una società di liberi e giusti, in cui la ricchezza sia condivisa e messa a disposizione di tutti previa formalizzazione dell'assemblea generale. Dovreste guardarvi certi video su Youtube che testimoniano esperienze comunitarie solitamente immerse nel verde di certe cascine toscane che farebbero invidia a Sting. Tutta la retorica della vita bucolica lontana dal frastuono della città e del ritorno alla terra, comprensiva di pulsioni vegane e di pomodorini biologici. I candidati a entrare in comunità, solitamente anarchici, ex sessantottini, cattocomunisti ecumenici, assicuratori pentiti e giovani coi dreadlocks, giustamente accettano di spogliarsi delle proprie ricchezze e di devolvere i propri guadagni alla tesoreria generale (il giovane coi dreadlocks devolverà il suo entusiasmo), la quale si impegnerà a gestire le risorse e a redistribuirle nel modo più giusto per tutti e per ciascuno. Noterete il paradosso per cui la comunità si regge grazie ai guadagni provenienti dall'esterno, cioè provenienti dall'ingiusta società capitalista, soldi "sporchi" che comunque verranno nobilmente purificati riassegnandoli a scopi più elevati. Fra i vari sostenitori della società comunitaria troverete anche il buon Massimo Fini, il quale, relativamente al denaro, da tempo pare si sia fermato alla fase anale (il denaro "sterco del demonio"). A questo punto sorge la domanda: ma in un'ipotetica società comunitaria globale, come si formerebbe la ricchezza delle nazioni? Perché a sentir parlare i comunitaristi, e siamo alle solite, la ricchezza si formerebbe non già sulla spinta dell'ambizione personale, ma per agreste e virtuoso altruismo impersonale (uscire dall'individuo è pura utopia, un'ideale sterilizzazione dei desideri e delle pulsioni egoistiche non può reggere nel lungo periodo).


giovedì 19 marzo 2015

We have a problem

La prenderò alla larga: ricorderete che quando crollò l'Unione Sovietica si spalancarono le porte del mondo al capitalismo globale, il quale, da vittorioso, maramaldeggiò e cedette alla tentazione di ritenersi unico ed assoluto egemone della storia fino a postularne la fine. Questa cosa ovviamente non andò proprio giù agli orfani del socialismo reale, tant'è che oggi, nemmeno troppo incredibilmente, c'è ancora qualcuno che, magari al netto della doverosa condanna della violenza, non può sottrarsi dal guardare con favore al ruolo assunto dall'Isis, e cioè quello di unico competitor globale in grado di arginare il pericolo estremo del pensiero unico occidentale (almeno c'è dialettica, dicono, e questo è un bene: la storia non è finita). Se c'è qualcuno di voi che si è accorto di pensarla anche solo un poco in questo modo, be', allora abbiamo un problema.

mercoledì 18 marzo 2015

Paralipomeni della stanchezza

Seguite il ragionamento: per l'empirismo classico l'oggetto era attivo e il soggetto completamente passivo, mero strumento di registrazione del fenomeno. Ma fra soggetto e oggetto vi è invece un rapporto di interazione, per cui l'oggetto certamente colpisce la coscienza e in parte la determina, ma l'oggetto risulta essere a sua volta il prodotto della coscienza nella misura in cui viene da essa trasformato, cioè reso presentabile alla coscienza («La conoscenza, nel vecchio significato di contemplazione passiva, è un'astrazione irreale; il processo che veramente ha luogo è il processo con cui si affrontano e si trasformano le cose»). La materia dunque non solo non è intrasformabile, ma in ultima analisi è in parte ciò che l'uomo vuole che sia attraverso il processo di trasformazione: dialettica e prassi materialista. «Il problema se la verità obiettiva appartenga al pensiero umano non è un problema di teoria, ma di pratica. La verità, cioè la realtà e la forza del pensiero, deve essere dimostrata in pratica. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che è fuori dalla pratica è una questione puramente scolastica... I filosofi hanno solo interpretato il mondo in vari modi, ma il loro vero compito è di cambiarlo». Questo chiarimento sul fondamento del pensiero marxista lo mettiamo da parte e ci servirà per quando avrò più tempo...

...A proposito di tempo, oggi mi è capitato di incappare in quest'altro tema: nostalgia del presente. Di per sé una frase poetica, con annesse varie divagazioni sul tema dell'eterno presente e della concezione bergsoniana dell'attimo come ricordo e anticipazione, nonché sulla precarietà dei giovani che non hanno più un futuro, ecc. Poi, considerando la freccia del tempo, mi è venuto da pensare (eureka!) che forse non siamo noi che ci muoviamo lungo la linea temporale, ma che è il tempo che si muove in noi: qualis artifex pereo (ero in pausa pranzo dopo una giornata piuttosto impegnativa e forse lo stress ha contribuito a indurre lo stato lisergico).

(PS. Il mondo sta andando a rotoli e non ho nemmeno il tempo di occuparmene).

martedì 17 marzo 2015

Süße Träume

Oggi parliamo delle mutande, delle mutande di Cecchi Paone, quelle di Dolce & Gabbana gettate nella pattumiera in segno di protesta contro il vile marchio traditor (qui fra Cecchi Paone e le Femen non si sa più a chi assegnare il Nobel per i diritti umani). Compagne froce! Mantenete la calma, non è il caso di fare le pazze. Dove ne troverete più di mutande con quell'elastico così e quell'allure tutta particolare? Ma da nessun'altra parte se non in via delle Spiga, ovvio. Tornate quindi sui vostri passi, contate fino a dieci e pensateci bene prima di prendere decisioni affrettate (è permesso boicottare il blog).

domenica 15 marzo 2015

Coalizione asociale

Ma guardate che davvero Landini è ispirato dai più buoni propositi, si vede che ci crede. La ricetta è la solita, di fatto si riduce a una forma di keynesismo spinto che ha davvero poche probabilità di riuscita in questo particolare momento storico, ma d'altronde, chi siamo noi per impedirgli di inseguire il suo sogno? E poi Landini mi pare un uomo di specchiata onestà, che ai fini di un'ipotetica ripresa non significa praticamente nulla, ma intanto onesto... Ora, l'unica cosa che resterebbe da domandarsi è perché mai abbia sentito il bisogno di parlare di Landini. E' perché non c'era niente da dire. A pranzo ho mangiato fino a scoppiare, una domenica così, epicurea. Lusso sfrenato, pollo e patate. Nubi minacciose salivano dalle montagne, la burrasca era in agguato e io intanto pollo e patate. E tu vai a pensare che Landini, in quel mentre, meditava di scendere in campo? Ma io pensavo a cose più liete, a come stavo bene con me stesso, che la vita è meravigliosa, all'amore di una donna che ama solo te... ci mancava solo Landini e la sua pittura sociale.

Non ti scordar di me


 «Noi eravamo quello che voi siete,
e quello che noi siamo voi sarete
»

E siamo al più classico dei memento mori domenicali. Già ve l'ho accennai, nei momenti di dolce sconforto dovuti a particolari condizioni dell'essere che non trovano riscontro e spiegazione evidente nella prodigiosa combinazione di atomi che costituiscono il nostro corpo, mi appare chiarissimo come le innumerevoli schiere degli uomini apparse sul pianeta Terra dal primo dei bipedi fino ai giorni nostri non abbiano in sé alcun valore se non eventualmente quello transitorio e transeunte, per non dire affettivo. Come in un branco di topi, gli stessi tipi umani si ripetono grosso modo uguali innumerevoli volte e come topi siamo destinati a marcire in questa cloaca a cielo aperto che chiamiamo con molta generosità "mondo". E all'interno di questo "mondo" tutto continuamente oscilla fra la vita e la morte; coi miasmi di tutti gli uomini vissuti ci si potrebbe impestare una buona parte dell'universo. Se oggi sono così ottimista lo devo al mio spirito critico e a qualche nevrosi non meglio precisata che, ahimè, non sarà oramai più diagnosticabile dal professor Freud, annientato definitivamente nell'Anno Domini 1939. Forse a voi piace un mondo così? A me fa cagare un mondo così, ma, per riconoscenza verso l'unica dimensione che mi trovo ad abitare, umilmente ringrazio e rassegnato mi accingo a ristabilire «la perpetua e piena dissimulazione della vanità delle cose» la quale «inganna in qualche guisa il pensiero, e mantiene come che sia e per quanto è possibile l'illusione dell'esistenza». (Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani).

sabato 14 marzo 2015

Soffro di una malattia invalidante

Dormire di pomeriggio mi mette di malumore. Per esempio dormendo ho scoperto che soffro di una malattia invalidante, l'amaxofobia, la paura di guidare. E' molto bello dare un nome alle proprie paure, dar loro una forma dà l'illusione che il problema si possa risolvere, con una terapia, con una pillola, oppure con dei massaggi (per esempio all'inguine). Vi dirò, l'aspetto più invalidante riguarda certamente il lavoro, se non mi metto a guidare sarà sempre più difficile trovarne uno comodamente servito dai mezzi pubblici. E più invecchio più sarà difficile trovare lavoro. E se fosse tutta colpa del capitalismo? Sarebbe bello trovare il capro espiatorio e pensare alla rivoluzione proletaria per adeguare il mondo alle proprie carenze (è difficile essere me, un altro al posto mio avrebbe rinunciato).

E' lo storytelling, bellezza

Non dobbiamo concentrarci sulla singola persona, tanto si imporrà sempre chi sa raccontar balle meglio degli altri. Prendi il Salvini, per esempio: senza i suoi rom e la minaccia all'occidente cristiano, che gli rimarrebbe? Poco e niente, nemmeno l'alleanza strategica con CasaPound. Così il Renzi, che con il suo efficientismo tutto selfies e visione del futuro sa tramutar il nostro solito ridurci all'ultimo minuto in un'entusiasmante corsa al fotofinish (chi vincerà? Mah). Così il Berlusconi senza le sue olgettine, ridotto a far promozioni sulle dentiere. In una democrazia, per decidere davvero con cognizione per chi votare, bisognerebbe prima avere una visione certa di dove si vuole andare e di cosa si dovrebbe fare: ce l'abbiamo? Tutti Keynes e tutti Von Hayek, qualcuno marxista, l'altro fascista, per non dir dei cattolici. Tutti allenatori, tutti ct della nazionale, chi di pancia e chi per dispetto, chi per fede e chi per diletto, perlopiù tifosi senza la minima idea di come realizzare quel mondo ideale che ci si forma più o meno fumosamente in testa, ma nel dubbio, intanto, tifiamo. Date le premesse è poi fatale che la democrazia sbiadisca in demagogia, che per prosperare sfrutta proprio questa nostra impossibilità di avere un'idea certa e ben strutturata del cosiddetto "bene comune" e di come arrivare a realizzarlo.

Untermensch

Parlerò male di Nietzsche. Prenderlo semplicemente per i fondelli sarebbe pure la cosa più facile del mondo, all'occorrenza troverete l'allegro Ferraris*, qui nei panni del comico sanremese, ad occuparsene puntualmente e con dovizia di particolari (ha il dente avvelenato con gli ermeneuti e per questo attacca il loro santo protettore nel tentativo di abbattere l'albero partendo dalla radice). Quel che mi premerebbe è invece mostrare quanto fosse arbitraria la lettura nietzschiana di sinistra, ma mi pare che la cosa si sia capita. A questo punto, dico, meglio darlo in pasto ai fascistelli, i quali, al netto dell'indigesta (a Nietzsche) dottrina sociale, potrebbero legittimamente farne il campione del pensiero elitario ed aristocratico. Con Nietzsche occorrerebbe poi fare una certosina operazione di separazione del grano dal loglio, ma la farò privatamente per non tediarvi oltremodo. In quanto all'altra vetusta questione, cioè se Nietzsche fosse filosemita o antisemita, si può dire entrambe le cose a seconda del punto di vista (accogliendo qui il celebre motto «non esistono fatti, solo interpretazioni»). Chi tende a scagionarlo in quanto era amico di un medico ebreo (la qual cosa suonerebbe come "io non sono omofobo perché ho un amico gay"), chi invece, come me, pensa che i presupposti ci fossero tutti e che non attendessero altro che essere portati alla luce. Se Schopenhauer riteneva dunque la Volontà come dannosa suggerendo all'uomo di allontanarsene, Nietzsche intese cavalcarla, ma cavalcare il caos significa esserne alla mercé, come se il caos fosse di per sé più giusto in quanto elemento più originario: non c'è motivo di ritenerlo perché non essendoci qui per principio né un giusto né uno sbagliato ("l'innocenza del divenire") una soluzione varrebbe esattamente l'altra. E in quanto a trasvalutazione dei valori poté più la rivoluzione industriale che tutte le sue filippiche nichiliste, casomai da interpretare come sintomi e non come cause (d'altronde che Dio fosse morto lo sapevano anche al mercato), come se il nostro fosse da benedire e canonizzare in quanto padre nobile della secolarizzazione: in realtà non ci fu uomo più agito e in balia di se stesso e del suo tempo di Nietzsche, altro che agente del mutamento!

martedì 10 marzo 2015

Intermezzo/2

Non ho avuto tempo stasera di approntare alcuna stesura, certo non vorrete che mi metta a parlare di Tosi, vero? (la plebe, la plebe...). Tuttavia permettetemi di omaggiarvi di un bell'intervento di Cacciari su Nietzsche, perché Cacciari quando s'impegna è bravo.


lunedì 9 marzo 2015

Intermezzo

Sto angosciato perché non passeranno le riforme, m'hanno rovinato il giorno del bazooka di Draghi (ma sarà più keynesiano o più liberista questo quantitative easing? Boh). In Italia non si può fare niente, bella o brutta che fosse era pur sempre una riforma, e invece adesso per ripicca, mica per una questione di merito, ne fanno carta straccia e chissà quando passerà il prossimo treno. Se non gli avessero fatto lo sgarbo sarebbe stata la riforma più bella del mondo, ora invece è una merda e Brunetta ci balla sopra la macarena. Io proprio non lo capisco questo paese, oppure lo capisco troppo bene. Intendiamoci, ora come ora sarei più occupato a risolvere questo increscioso problema che mi attanaglia in special modo d'inverno, vale a dire la questione dei piedi freddi, ma niente che non si possa risolvere con una borsa dell'acqua calda e al diavolo le riforme (ci aveva visto giusto Boltzmann, funziona proprio come diceva lui).

domenica 8 marzo 2015

Il Socrate semita

Prosegue la rilettura del Crepuscolo degli Idoli, siamo al capitolo su Socrate. 

1. Qui Nietzsche parte subito col dare al simpatico sileno del malaticcio in quanto corruttore dello spirito vitale che fu di quegli antichi elleni forti e vigorosi molto idealizzati dai romantici, scorge nel tafano «un accento pieno di opposizione alla vita», e crede di trovare la pistola fumante in quel famoso: «vivere — vale a dire essere lungamente malati: sono debitore di un gallo ad Asclepio salvatore». Già gli è partita la brocca e comincia col dargli dello stagionato (e mi sembra il minimo) e del décadent...

2. ...A lui e a tutti i grandi saggi attorno ai quali s'è formato nel corso dei secoli il consensus sapientum, non già prova di verità provata, ma sintomo di una predisposizione fisiologica alla malinconia e alla stanchezza della vita (e per questo già tutti d'accordo fra di loro nel dare contro a lui e al superuomo). «Il fatto che un filosofo» chiosa il nostro livoroso Federico «veda nel valore della vita un problema, risulta a questo modo persino un'eccezione contro di lui, un punto interrogativo sulla sua saggezza, un'insipienza». Mi sento punto sul vivo, potrei risentirmene, credo che non voterò le riforme per punirne l'arroganza.

3. Qui siamo all'eccellenza, qui si attacca Socrate per il suo aspetto fisico manco fossimo in presenza di un Berlusconi che infierisce sulla Bindi. Prima di tutto Socrate appartiene alla plebe, al popolo minuto, e t'ho detto tutto. E' brutto e la «bruttezza, un'obiezione di per se stessa, è tra i Greci quasi una confutazione» (è noto invece che Nietzsche era bellissimo). La bruttezza è spesso l'espressione di uno sviluppo ibrido, dice, ostacolato dall'incrocio (la purezza della razza...). E di nuovo: gli antropologi forensi dicono che il delinquente tipico è brutto. Socrate la prende sul ridere.

4. Che Socrate sia un decadente lo si vede anche dalla sregolatezza degli istinti e dalla «malvagità da rachitico» che lo contraddistingue. Tutto è in lui caricatura, Socrate è subdolo, pieno di secondi fini (Socrate si è già tramutato in Shylock).

5. Con la dialettica socratica la plebe rialza il capo contro il gusto aristocratico. Prima di Socrate, dice, nella buona società la dialettica era considerata posa da screanzati, si metteva in guardia i giovani dall'usarla.

6. La dialettica è l'opzione di chi non ha altri mezzi, con la dialettica si può mostrare tutto e il contrario di tutto, lo dimostrerebbe l'esperienza delle assemblee pubbliche, ma «si deve saper conquistare con la forza il proprio diritto; altrimenti non se ne fa uso alcuno». E poi, finalmente, si capisce dove si voleva andare a parare: «Per questo gli Ebrei erano dei dialettici; la volpe Reinecke lo era: come? e lo fu anche Socrate?».

Continua.

L'arte di omaggiare le donne

(Dai, fai gli auguri alle donne, non sia mai che, dai e dai, ti ritorni indietro qualcosa). Auguri carissime! Senza di voi l'Italia più povera e ingiusta. (va be'). Ma come faremmo noi uomini senza di voi? (un mondo senza donne è sterile). Né con voi né senza di voi, apostrofi rosa fra le parole t'amo, più di ieri meno di domani. (la stagione dell'amore viene e va...). «La giovinezza senza bellezza ha pur sempre il suo fascino, ma la bellezza senza giovinezza non ne ha alcuno» (?). «Come la seppia, la donna si avviluppa nella dissimulazione e nuota a suo agio nella menzogna» (?!). «Alle donne come ai preti non va fatta nessuna concessione» (basta!). «Più guardo gli uomini, meno mi piacciono. Se soltanto potessi dire la stessa cosa delle donne, tutto sarebbe a posto» (a-ha!). «Poiché non esistono due individui perfettamente uguali, ci sarà una sola determinata donna che corrisponderà nel modo più perfetto a un determinato uomo. La vera passione d'amore è tanto rara quanto il caso che quei due si incontrino». (vado a suicidarmi).

sabato 7 marzo 2015

Sindrome di Re Lear

Il Crepuscolo degli Idoli è uno dei migliori libri di Nietzsche, intendo dal punto di vista del lettore. Già nelle Sentenze e Frecce poste propedeuticamente all'inizio del libro c'è tutta la dolente sintomatologia del solitario ossessionato dal grande compito che gli è stato assegnato.

Sentenza 3. «Per vivere soli si deve essere una bestia o un dio — dice Aristotele. Manca il terzo caso: si deve essere l'una e l'altra cosa — filosofo». Ovvero "del fare di necessità virtù", sport in cui Nietzsche senz'altro eccelleva (sono davvero un filosofo mediocre, rinuncerei infatti volentieri alla solitudine, non vi è nulla di particolarmente speciale nell'isolamento). Fa il paio con la sentenza 11: «Può un asino essere tragico? — Crollare sotto un peso che non si può portare e neppure portar via?... E' il caso del filosofo». Poveretto, tutte a lui le disgrazie.

Sentenza 25. «La contentezza protegge persino dal raffreddore. Si è forse mai raffreddata una donna che sapesse d'esser ben vestita?  — Faccio il caso che fosse quasi svestita». La misoginia di Nietzsche fa pure tenerezza, è una misoginia "calda" al contrario di quella "freddissima" di Schopenhauer, e questa è pure una battuta carina. Quanto avrei voluto vedere Nietzsche alle prese con una virago di Crumb... Fa il paio con la sentenza 27. «Reputiamo profonda la donna  — perché? Perché non si arriva mai a toccarne il fondo. La donna, poi, non è neppure superficiale». Tante grazie, se fossi una donna sarei lusingata da tanta magnanimità.

Sentenza 35. «Ci sono casi in cui siamo simili a dei cavalli, noi psicologi, e veniamo presi dall'irrequietezza: vediamo vacillare su e giù la nostra ombra. Lo psicologo deve stornare lo guardo da per avere in genere la possibilità di vedere». Fra asini, cavalli e sogni di Raskolnikov, sinistre allucinazioni premonitorie.

Sentenza 43. «Importa forse che sia io ad avere ragione! Io ho troppa ragione. — E chi oggi ride meglio, riderà anche per ultimo». Ma certo, non si agiti che le porto subito la medicina (me lo immagino alle prese con una nerboruta badante ucraina di origine ebraica).

«Io faro' tali cose... quali sono non lo so ancora; ma saranno il terrore della terra», diceva Re Lear... e Bertrand Russell: «Il suo uomo nobile (lui stesso nei suoi sogni), è un essere completamente privo di simpatia, spietato, astuto, crudele, che pensa solo al potere. Re Lear, sulla soglia della pazzia, dice: Farò tali cose (quali ancora non so) ma saranno il terrore del mondo». (Storia della filosofia occidentale).

Nietzsche, in sé, era un agnellino, era il suo alter ego, il sig. Über Mensch, che era terribile. Da piccolo al povero Friedrich dovevano avere ripetutamente pestato gli occhiali, per cui aveva sviluppato questo supereroe, questa proiezione del suo ego ferito, che doveva vendicarlo agli occhi del mondo. Che poi, grazie a questa particolare patologia, sia diventato l'interprete assoluto delle ansie nel ventesimo secolo, questo fu un problema più del ventesimo secolo che di Nietzsche (riconoscersi nei deliri di un borderline, ci sarebbe materiale per psicanalizzare l'intero secolo breve).

Il Nietzsche spinoziano

"Gli uomini credono di essere liberi per questa sola causa, che sono consci delle loro azioni e ignari delle cause da cui vengono determinati". L'esempio è quello classico illustrato dallo stesso Spinoza: siamo un po' come sassi che sono stati scagliati in aria, ognuno segue la sua traiettoria. Per il fatto di essere coscienti ci rendiamo conto che ci stiamo muovendo ed essendo coscienti di muoverci pensiamo che sia la stessa cosa di averlo voluto (molto interessante questa lezione del prof. Sini, fra i massimi esegeti del pensiero spinoziano). Ci sarebbe dunque questo fil rouge che lega Spinoza a Schopenhauer e Schopenhauer a Nietzsche e a Freud, tutti più o meno convinti che la volontà degli uomini, lungi dall'essere libera, sia in realtà determinata da pulsioni fisiologiche (Nietzsche), psichiche (Freud), se non addirittura metafisiche (Schopenhauer).

Perché abbiamo chiamato in causa anche Nietzsche? Non è forse Nietzsche, si dirà, il campione del libero arbitrio e della libera volontà di potenza? Questa è l'interpretazione di un certo pensiero ermeneutico novecentesco che ha voluto fare di Nietzsche una sorta di satiro, di aedo della liberazione degli appetiti e dell'istintualità, ispiratore del '68 nonché della beat generation. In realtà ci sarebbe dell'altro, su un piano ancora più profondo: "[...] Nessuno è responsabile della sua esistenza, del suo essere costituito in questo o in quel modo, di trovarsi in quella situazione e in quello ambiente. La fatalità della sua natura non può essere districata dalla fatalità di tutto ciò che fu e che sarà. Egli non è la conseguenza di un personale proposito, di una volontà, di uno scopo, non è che con lui si faccia il tentativo di raggiungere un «ideale d'uomo» o un «ideale di felicità» o un «ideale di moralità» [...] Si è necessari, si è un frammento di fato, si appartiene al tutto, si è nel tutto [...] con ciò soltanto è ristabilita l'innocenza del divenire". Sono questi i passi del Crepuscolo degli idoli in cui più riecheggia la simpatia di Nietzsche per Spinoza. 

Dunque "chaos sive natura"? La si può leggere così: l'aumento della potenza, destino a cui deve aspirare l'uomo nuovo, l'Übermensch, è possibile solo rimuovendo gli ostacoli che pretendono, del tutto illegittimamente, di limitarne la forza, lo slancio vitale. L'Übermensch è un frammento di fato, la sua potenza un dono del destino, egli è fisiologicamente necessitato ad emergere. E' in questo senso che pure il divenire è innocente, appunto perché necessitato, nessuna legge morale avrà il diritto di limitarlo: amor fati, compiere l'ultimo passo che impedisce all'uomo di ricongiungersi alla propria grandezza. In altre parole, per Nietzsche l'Übermensch è tanto più forte quanto più è lasciato libero di intercettare quel flusso vitale che lo eleva a cosa eccellente che si erge sopra la mediocrità, e questo lasciandosi pervadere dall'istinto come di chi nuota nella corrente.

Dalla celebre lettera di Nietzsche a Overbeck: «Sono pieno di meraviglia e di giubilo: ho un precursore, e che precursore! Io non conoscevo quasi Spinoza. Per "istinto" ho desiderato di leggerlo. Questo pensatore, il più abnorme e solitario che sia mai esistito, è il più vicino a me in queste cinque argomentazioni: egli nega il libero arbitrio, la finalità, l' assetto morale del mondo, il non-egoismo, il male. Anche se tra Spinoza e me restano enormi differenze, queste sono da attribuire soprattutto alla differenza dei tempi, della cultura, della scienza. Insomma la mia solitudine - che come capita in montagna alle grandi altitudini, spesso mi toglieva il fiato e mi faceva trasudare sangue dai pori - è ormai una solitudine in due». 

E io, come la penso? Personalmente rimango scettico circa la vera natura di questa forza vitale che dovrebbe guidarci verso la grandezza a cui siamo destinati, trovo un po' datato questa sorta di ottimismo romantico e disperato che getta letteralmente il cuore oltre l'ostacolo fino all'autodistruzione, una sorta di suicidio mascherato da atto di eroismo, come di chi va a sbattere la testa contro il muro ma con molto amor fati; per cui, dopo la scontata sbandata giovanile, non è un mistero che gli preferisca Schopenhauer e forse pure Spinoza, è il destino che me lo impone.

giovedì 5 marzo 2015

Ushering in banality

La malinconia sale quindi per tirarmi su parlerò di Berlusconi, il quale mi mette sempre allegria. Oggi festa grande sui giornali*. Per esempio il dramma di quest'uomo che non trovava il tempo di infilare un paio di ragazzine fra una visita del Papa e il trio meraviglia Sarkozy-Merkel-Gordon Brown (sai che palle...). Per esempio io non avrei resistito, mi sarei inventato un bel mal di pancia e mi sarei buttato a capofitto sulle «giovanissime» (ma che ci dovevo fare con Ratzinger?). E non avrei mai potuto fare il politico, mi sarei rovinato subito, tutte quelle femmine che mi giravano attorno, non c'avrei capito più niente. E invece lui, da grande statista qual era, cortesemente declinava per ragion di stato. E' proprio vero che signori si nasce. Ci stava a provare perfino con Belen, dico, con B-e-l-e-n, mica se ne stava a studiare i fotoni. E da mo' che abbiamo perso il tram noi poveri cristi (quasi quasi apro anch'io un bel blog tutto chiacchiere e distintivo sul modello delle cinquanta sfumature del cazzo, giusto questo ci resta).

mercoledì 4 marzo 2015

Famiglia di acrobati con scimmia

Che barba, che noia. Salvini dalla Bignardi oppone argomenti inoppugnabili: «Renzi non lo sopporto proprio, mi sta antipatico per quello che dice e che fa, è un chiacchierone, sta promettendo mari e monti da un anno e non sta combinando un accidente». Tutto qui? Sta a fare le grandi manovre con Casapound e la questione si risolverebbe in un paio di battutine per giunta assai trattenute? Va bene che tutto fa brodo pur di accreditarsi come trottolino amoroso agli occhi del popolo sovrano, ma allora ho ragione io quando tiro in ballo i peli delle ascelle, sono pronto per la politica, sono un genio della comunicazione. Va be', lasciamo stare, stiamo raschiando il fondo del barile, a breve li vedremo tagliarsi le unghie dei piedi in diretta. E non sia mai che quegli altri s'inventino il reddito di cittadinanza per i rom italiani, ce ne sarebbe per chiedere gli esami del sangue obbligatori, per foraggiare milioni di Salvini da qui all'eternità, live long and prosper. Ma dove li trovano i soldi, ce li darà forse il Varoufakis rinunciando alla moto, li esproprieremo alle banche del circolo Pickwick (pardon, Bilderberg)? Dove ti giri giri, non se ne salva uno.

martedì 3 marzo 2015

Melancholy (will be my epitaph)

Sento che mi sta tornando la malinconia (non la chiamo depressione per rispetto), è pazzesco come ne sia completamente in balìa. Ha un andamento ciclico, un'onda lunga, una marea che segue le fasi lunari (è perché sono del cancro). A voler fare della deduzione delle categorie psicologiche si direbbe che questa mancanza di controllo su me stesso si riflette sulle idee filosofiche che vado ruminando. Poco male, c'è comunque del buono in quelle idee. Anzi, diciamo pure che questa malinconia è un'opportunità, un pretesto che mi permette di approfondire un certo aspetto dell'esistenza che altrimenti avrei del tutto ignorato. Del resto non vedo come potrei fare altrimenti. Appunto perché completamente fuori dal mio controllo, non posso far altro che rilevare come la volontà, che pensiamo di dirigere dovunque vogliamo come se ne avessimo in mano le redini, in realtà ci sovrasta e ci conduce dove meglio crede: il carattere di uomo è il suo destino (e t'ho detto tutto).

lunedì 2 marzo 2015

Di corpi caldi e di piedi freddi

Un'altra cosa ho imparato. Pare che le leggi della fisica siano grosso modo tutte reversibili tranne una, quella che riguarda la termodinamica. Gli strenui difensori della freccia del tempo, gente a questo punto banale e priva di fantasia, sostengono di solito che le leggi della termodinamica siano la classica pistola fumante, la prova provata che il tempo esiste e che ha una sua direzione, per cui il calore si può trasmettere solo da un corpo caldo a quello freddo e non viceversa. Tuttavia la questione è più sottile e occorre scomodare il povero Boltzmann, morto impiccato a Duino mentre era in vacanza con la famiglia, praticamente incompreso. Secondo Boltzmann il calore non si trasmette dagli oggetti caldi a quelli freddi in ragione di una legge fisica assoluta, semplicemente tutto accade secondo probabilità. Ovvero, è statisticamente più probabile che gli atomi di un corpo caldo, che si muovono velocemente, sbattano contro quelli del corpo freddo, che si muovono molto più lentamente, trasmettendo a questi la loro energia. Non è dunque impossibile per la fisica che un corpo freddo riesca a scaldare un corpo caldo, è solo incommensurabilmente improbabile (molto più improbabile che vincere alla lotteria). Il calore emerge anche in questo caso dalla media di tutti gli urti fra le particelle, la maggioranza vince e della minoranza non se ne saprà mai nulla (anche in questo caso la percezione diffusa del calore è la conseguenza di un nostro difetto di capacità sensoriale). Per cui, quando vi viene da pensare che vi conviene trovare qualcuno che vi scaldi i piedi nelle lunghe e fredde notti invernali, tenete ben presente che per uno scherzo del destino potreste essere voi, sì, proprio voi che avete sempre i piedi gelati a scaldare i piedi della vostra metà e non viceversa, dunque vi domando: davvero vi conviene? Fate bene i vostri conti.

domenica 1 marzo 2015

Gli abitatori del tempo

Nelle Sette brevi lezioni di fisica di Carlo Rovelli (Adelphi), operazione editoriale che richiama smaccatamente i Sei pezzi facili di Richard Feynman, non c'è nulla che non si trovi già presente nelle varie conversazioni dell'autore che si possono trovare su Youtube, ma bisogna dire che il librettino può costituire ugualmente un agile promemoria in caso di collasso della rete elettrica mondiale.

Le lezioni più interessanti per i cacciatori di nuovi paradigmi sono la quinta e la sesta, dove l'autore ritorna sulla teoria della gravità quantistica a loop e sulle sue implicazioni "temporali", teoria in apparenza alternativa alla stringhe (il tema era già stato affrontato nel precedente La realtà non è come ci appare). Questa nuova teoria si propone di integrare la relatività generale con la meccanica dei quanti, e per farlo intende concepire le unità minime dello spaziotempo (spaziotempo discreto, cioè "digitale") come atomi di spazio (qui inteso come "cosmo"). Questi sarebbero "minuscolissimi: un miliardo di miliardi di volte più piccoli del più piccolo dei nuclei atomici". Ciascun atomo di spazio avrebbe una forma ad anello (loop), ogni anello sarebbe intrecciato all'altro in una "rete di relazioni che tessono lo spazio".

L'idea di base è che lo spazio coincida di fatto con il campo gravitazionale (in questo caso la massa non sarebbere altro che il manifestarsi di una forza di gravità), e che gli atomi di spazio si vengano così a configurare come atomi individuali di gravità. Questi atomi elementari non si troverebbero quindi nello spazio, sarebbero essi stessi lo spazio (e il tempo). Il tempo seguirebbe il destino dello spazio (spazio e tempo sono infatti indissolubilmente legati secondo quanto prescritto dalla teoria della relatività generale), per cui smetterebbe di scorrere coerentemente secondo il consolidato schema "passato-presente-futuro" poiché ogni singolo processo danzerebbe a un ritmo suo proprio. E' questo il senso della cosidetta "fine del tempo".

Che cosè dunque il tempo? Un'approssimazione. Così come i nostri occhi non sono in grado di percepire da lontano le minuscole increspature sulla superficie dell'acqua di uno stagno che ci appare calmo, così lo scorrere coerente del tempo emergerebbe dal nostro sguardo sfocato sui processi microscopici sottostanti la realtà cosciente.

"Per una ipotetica vista acutissima che vedesse tutto non ci sarebbe tempo 'che scorre' e l'universo sarebbe un blocco di passato, presente e futuro. Ma noi esseri coscienti abitiamo il tempo perché vediamo solo un'immagine sbiadita del tempo. Se posso rubare le parole al mio editore: «L'immanifesto è molto più vasto del manifesto». Da questa sfocamento del mondo nasce la nostra percezione dello scorrere del tempo." (Carlo Rovelli, Sette brevi lezioni di fisica, Piccola Biblioteca 666, Adelphi).