martedì 31 dicembre 2013

Breve storia delle teorie atomiche: Niels Bohr


Qual era dunque la pecca fondamentale del modello atomico di Rutherford? Principalmente una: se l'elettrone girava attorno al nucleo nelle sue orbite circolari esso doveva perdere una parte della sua energia equivalente alla suo moto emettendo onde elettromagnetiche, questa perdita progressiva di energia sarebbe stata causa di un rallentamento costante che avrebbe fatto ricadere l'elettrone dentro il nucleo in un movimento a spirale. E' come se la luna, nel suo moto attorno alla terra, cedesse via via parte della sua velocità allo spazio circostante fino a rallentare e schiantarsi sul pianeta. Se non accade è perché la luna è soggetta a un altro tipo di forza, e cioè alla gravità. Secondariamente, gli elettroni non avrebbero avuto forza meccanica sufficiente per rimanere incollati al nucleo, rischiando di venire strappati via dalla minima perturbazione esterna. In sostanza, l'atomo di Rutherford era quanto mai instabile, destinato a sicuro decadimento. Fu dunque un collaboratore di Rutherford, il danese Niels Bohr, a risolvere la questione, facendo entrare in gioco le regole della meccanica quantistica.

Ora, la meccanica quantistica è la teoria più moderna che esista, e non si intende in senso cronologico, ma in senso filosofico. Ribalta le questioni, mette in soffitta il rigido determinismo, accoglie il probabilismo e strizza l'occhio a un certo soggettivismo che nelle sue degenerazioni più estreme può cadere vittima dello spiritualismo se non addirittura del misticismo (fine delle rime in "-ismo"). Bohr prese dagli studi sulla meccanica quantistica l'idea che l'energia emanata dell'elettrone non si irradiasse in modo continuo, ma solo ad intervalli discreti che si trovavano in rapporto matematico con la costante di Plank. Quantizzando l'emissione di energia il modello atomico funzionava, gli elettroni ritrovavano la loro stabilità.

Il modello atomico di Bohr prevedeva ancora orbite circolari per gli elettroni, con il successivo perfezionamento della teoria, e cioè con il modello comunemente noto col nome di Bohr-Sommerfeld, le orbite degli elettroni assumevano traiettorie ellittiche. Tuttavia, come vedremo, la realtà dell'atomo sarebbe sfuggita anche alle regole della geometria convenzionale.

Nella prossima puntata: gli orbitali, ovvero, il porto delle nebbie.

lunedì 30 dicembre 2013

Occorrerà che la scienza si metta anche a spiegare quel curioso fenomeno dello stimolo che prende invariabilmente appena ci si mette a sciacquare i piatti sotto l'acqua corrente, un attimo prima non ti scappava, un attimo dopo, come i cani di Pavlov, pare che non hai visto un cesso da una settimana (e scusate il latinismo). Una "teoria del tutto" degna di questo nome dovrà pur renderne conto, altrimenti è sbagliata.

Breve storia delle teorie atomiche: Ernest Rutherford


"Nella scienza esiste solo la Fisica, tutto il resto è collezione di francobolli"

Ernest Rutherford, fisico e chimico neozelandese, fu allievo di Thomson. In qualità di suo allievo egli aveva il compito, o se vogliamo il dovere, di testare la validità del modello a panettone e per farlo si accinse a dirigere un esperimento eseguito da Hans Wilhelm Geiger e Ernest Marsden al laboratorio di fisica dell'Università di Manchester. Geiger, assistente di Rutherford, ne trarrà ispirazione per ideare il suo celebre contatore. L'idea era semplice: bombardare l'atomo con particelle alfa emesse da una sorgente radioattiva e ricavare dal calcolo degli angoli di uscita indicazioni sulla distribuzione dei corpuscoli al suo interno. Fu predisposta una sottilissima foglia d'oro (0,0004 mm, circa 200 atomi), sul tipo di Gualtiero Marchesi, attorno ad essa fu predisposta una fascetta ricoperta di solfuro di zinco sulla quale si sarebbero impresse le microscopiche "pallottole". Tutto fu pronto per il 1909. Grande fu la sorpresa nel constatare che la maggior parte delle particelle attraversavano la sottilissima lamina senza deviare di molto il loro percorso, mentre alcune di loro deviavano considerevolmente e addirittura una minima parte (una su ventimila) rimbalzava letteralmente indietro, come se si fossero trovate davanti un muro. Rutherford ci mise un po' per mettere insieme tutti i pezzi, facendo suo il motto di Sherlock Holmes («eliminato l'impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità»), si fece l'argo in lui l'idea che l'atomo fosse costituito per la maggior parte da vuoto e che al centro di esso vi era un minuscolo nucleo che costituiva il perno delle ampie orbite circolari degli elettroni, era dunque quello di Rutherford un modello planetario, simile nella sua struttura a quella del sistema solare. Occorre qui accennare che all'epoca dell'esperimento Rutherford era già stato insignito del premio Nobel per aver scoperto che la radioattività era il frutto della spontanea disgregazione di particelle subatomiche che abbandonavano l'atomo. Gli atomi, dunque, perdevano i pezzi, non solo non erano più indivisibili, ma alcuni di loro erano anche molto instabili. Non pago, Rutherford fu anche il primo scienziato a trasmutare nel 1919 un elemento in un altro mediante reazione nucleare, chapeau. Tuttavia, come vedremo, anche il suo modello presentava una pecca che finì per essergli fatale.

Nella prossima puntata: Niels Bohr e il problema della caduta a spirale (le cose si complicano).

sabato 28 dicembre 2013

Breve storia delle teorie atomiche: Joseph John Thomson


Uno si domanda: non sarebbe stato più semplice porre l'atomo come l'indivisibile e finita lì? Un lavoro pulito, una teoria elegante. Macché. Esperimenti condotti con il tubo di Crookes, precursore del tubo catodico, dimostrarono l'esistenza di una particolare particella a carica negativa alla quale il fisico irlandese George Johnstone Stoney darà più tardi il nome di elettrone. All'interno del tubo veniva generata una grande differenza di potenziale, la quale creava un flusso di particelle cariche negativamente che andavano a colpire la parete opposta, carica positivamente, eccitandone la fluorescenza. Se fra i due poli veniva posta una qualsiasi figura, che so, una croce di Malta, il suo cono d'ombra veniva proiettato sulla parete. Più o meno cosi:


Non ha dell'incredibile? Sir William Crookes, ideatore dello sbalorditivo marchingegno, era un chimico di rinomata fama, scopritore del Tallio e inventore di un elegantissimo radiometro che porta il suo nome e quello più poetico di "mulino a luce" o "motore solare".


Trattasi essenzialmente di un bulbo in cui si è creato un vuoto parziale e con al centro un'elica messa in condizione di girare liberamente, più la luce attraverserà il bulbo e più l'elica si metterà a girare, posta in pieno sole girerà vorticosamente. Ma anche solo il calore di una mano la metterà in funzione, essendo il calore, al pari della luce, una radiazione elettromagnetica. Meglio della lava lamp.

Attardati in questo lungo preambolo è il momento di introdurre la figura di Joseph John Thomson. Questo eminente fisico capì che il raggio catodico era costituito da un fascio di elettroni (che per tutta la vita continuò cocciutamente a chiamare "corpuscoli"), i quali non erano tanto degli atomi, bensì una loro porzione (la scoperta della prima particella subatomica gli valse il premio Nobel nel 1906). In breve, nel giro di un secolo appena si era già trovato il modo di suddividere l'indivisibile, il vero tramonto degli eterni. Thomson non se la sentì però di procedere oltre nell'opera di demolizione e ideò un modello dell'atomo che a tutt'oggi viene chiamato "modello a panettone", in cui gli elettroni erano immersi nell'atomo come i canditi nell'impasto (Ha! Povero ingenuo...).

Nella prossima puntata: Ernest Rutherford prende a pallettoni i panettoni (non punto più a Ca' Foscari, punto alla scuola Radio Elettra).

venerdì 27 dicembre 2013

Breve storia delle teorie atomiche: John Dalton




John Dalton non era uno dei fratelli Dalton, ma uno rispettabile scienziato inglese d'inizio ottocento il quale, recatosi a una riunione di quaccheri convinto che le sue calze fossero marroni, si vide obiettare dai presenti che in realtà esse erano di un rosso assai acceso. Scoprì così di essere affetto da deuteranopia, cioè insensibilità al colore verde, è noto infatti che il marrone è un arancione più spento e talvolta un rosso più inverdito. Egli era così animato da spirito scientifico che decise di donare i propri occhi alla scienza per poterli studiare dopo la sua morte, e fu così che nacque il daltonismo. Ma non è per questo che John Dalton verrà ricordato, bensì per essere colui il quale riportò in auge l'atomismo dopo secoli di arbitrario oscuramento. Se noi oggi siamo giunti fino alle stringhe, indistricabilmente attorcigliate alle loro brane, lo dobbiamo in qualche modo a quel distinto signore che non distingueva il rosso dal marrone. Egli notò come fosse più facile considerare le molecole dei composti chimici come aggregati di puntini duri e indivisibili, praticamente indistruttibili, mai corrotti e mai generati (ma soprattutto incolori): gli atomi, per l'appunto. Egli notò come se due elementi si combinano fra loro, formando composti diversi, le quantità di uno di essi che si combinano con una quantità fissa dell'altro stanno fra loro in rapporti razionali, espressi da numeri interi e piccoli. Non so cosa significhi, ho una naturale avversione per i numeri. Ma sappiate che esiste una corda tesa fra Leucippo (e fra qualche mistico indiano, perché gli indiani c'entrano sempre) e John Dalton (passando per Democrito ed Epicuro, ça va sans dire). L'atomo, e cioè l'indivisibile, rispondeva alla fondamentale esigenza di evitare di ricadere nel paradosso della divisibilità infinita dello spazio, e cioè nella visione paradossale di un bastone che si spezza all'infinito, senza mai giungere a una fine, e suscitare così lo scabroso dubbio che a sorreggere la materia vi sia un abisso di nulla.

Prossimamente, Joseph John Thomson e un dolce molto natalizio.
Nel frattempo mi si è rotto anche il computer, quello buono. Però, mettiamola così: se esiste la sfiga esiste anche la sua controparte, cioè la fortuna, e se esistono sfiga e fortuna significa che esistono entità metafisiche che ci sovrastano, entità senzienti con una propria volontà, maligna o benigna che sia. Dunque esistono gli angeli e i demoni, la lotta fra il bene e il male, i santi e le sibille, un senso, seppure del cazzo... quante obiettive situazioni di sfiga, in senso induttivo, occorrerà osservare per stabilire una legge universale?

lunedì 23 dicembre 2013

Sto conducendo esperimenti con la paroxetina, per essere felice non dico a natale ma almeno a capodanno, voglio vedere se è vero come dicono che agendo sulla chimica del cervello si possono evitare le domande sul senso della vita e se invece di darsi all'ontologia si finisce per darsi al calcio o seguire X-factor, come un individuo mediamente sano e nel pieno delle sue capacità cognitive dovrebbe fare.

Michael Persinger è un professore americano che ha inventato il casco di Dio. Stimolando opportunamente aree ben definite del cervello come i lobi temporali con campi elettromagnetici debolissimi, dell'ordine di un microtesla, è riuscito ad indurre nell'80% dei soggetti che si sono sottoposti all'esperimento certi stati allucinatori riconducibili a "presenze" più o meno metafisiche. Il soggetto veniva bendato in una stanza buia per circa un'ora, privato di alcool, caffé e sigarette, e magnetizzato fino a suscitare l'idea che dentro la stanza fosse entrato qualcuno, esseri muti e immobili nel buio, Doppelgänger, elfi del bosco silvano, mostruosità del necronomicon e quant'altro. Sarebbe la prova che l'idea di Dio (o degli angeli) si può suscitare per via "meccanica", ma sarebbe comunque interessante sapere se in quel 20% di soggetti restanti e completamente insensibili agli stimoli vi fossero comunque dei credenti o solo atei patentati.

Volevo scrivere un bel romanzo fantasy e inventarmi tutta una pletora di nuove creature del cielo e della terra, ma non ce la fò, non sono tagliato per i romanzi. A meno che... credo che mi incollerò il cellulare su un lobo frontale.

martedì 17 dicembre 2013

Mi sento così: tradito dalla scienza che smuove le montagne ma è impotente di fronte alla malattia. Impossibilitato a credere in Dio, mi manca il gene. Intimamente conscio di essere un guscio troppo fragile in balia delle tempeste. Privato degli affetti. Panico ontologico derivante dalla coscienza del mio essere accidentale e contingente, la vita come mero epifenomeno della morte, un breve preambolo, una cosa di poco conto (a noi mortali gli dei dovrebbero concedere la medaglia al valor ontico). Concentrarsi sul lavoro per pagare l'affitto e nel frattempo cercare casa perché l'immobiliare è in liquidazione (chissà quando riavrò internet). Non avrò più posto per i libri, dovrò buttarne via un po', o io o loro. Maggiori indiziati: vecchie enciclopedie a fascicoli oramai obsolete, romanzi d'appendice, gialli Mondadori. Mi tengo i libri di fisica e di filosofia, Gadda, Primo Levi, i russi, Savinio, Canetti e Simenon. Butto via i francesi, tengo De Sade. Non già sentirsi soli ma essere soli, già solo a rompermi una gamba morirei di fame. Chiamerò l'assistenza per gli anziani.

domenica 15 dicembre 2013

«Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né cosa io stesso. Sono in un'ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra sé stessa, e non conosce sé meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell'universo che mi rinchiudono; e mi ritrovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po' di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l'eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un'ombra che dura un istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire, ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte che non posso evitare».

La vedo esattamente come Pascal, ma mentre lui si era abituato a fingere di credere, io temo che nemmeno questo mi sarà concesso.
Magari qualcuno sarà anche scettico sulla capacità della politica e della democrazia in generale di guidare la riscossa, e cioè di favorire la ripresa e magari indirizzare anche gli eventi, ecc., convinto com'è che oramai si può solo rincorrere la realtà e che solitamente non occorra solo turarsi il naso ma anche qualche altro orifizio. Tutto vero, quella famosa nottola aveva ragione, arriviamo sempre troppo tardi. La democrazia sembra dare il meglio di sé quando incarna l'alternativa a ciò che le è contrario, ma col tempo viene a noia. Anzi, in Cina non c'è democrazia ma arrivano perfino sulla luna, chissà, forse in cerca di nuovi mercati. La democrazia è uno strumento sottile, se non coltivi il popolo sovrano e lo lasci scadere nel suo "si fa" e "si dice" quotidiano, finisce che quella mediocrità verrà ad incarnarsi nelle proposte politiche, quando non saranno proprio quelle stesse proposte politiche a suscitare e assecondare quelle tendenze, recando gravissimo danno alla qualità della politica in sé. Quello che si teme è che lo strumento democratico sia destinato ad ingrigire inesorabilmente, ingrigire a tal punto da scivolare a poco a poco verso il suo contrario, o forse siamo solo degli inguaribili pessimisti e ci dimentichiamo quando c'erano solo il PCI e la Democrazia Cristiana a contendersi il cuore e le menti degli italiani, mentre oggi, volendo, si può votare anche il movimento dei radioamatori e il partito della fica. Ma non è tanto una questione di quantità, è più una questione di qualità (o una formalità, non ricordo più bene, cioè il problema dell'aderenza a una forma che di fatto assume qualitativamente i connotati di una sostanza). (E' tutto così complicato, ma per fortuna è arrivato il Renzi che non ci complica il pane).

domenica 8 dicembre 2013

«La mia sarà una Lega di battaglia» che avrà come primo obiettivo di «riprendere la sovranità» dalla Ue, «ci siamo rotti le palle che Bruxelles ci deve dire come dobbiamo vivere, questo è un gulag». (Matteo Salvini, neosegretario della Lega Nord).

Voi capite come la Lega abbia perso la sua presa sul popolo confrontando questa scorreggetta con le cacate ben più consistenti di Beppe Grillo, il quale ha spostato tutto l'armamentario del populismo analogico su un piano più propriamente digitale. Insomma, laddove la Lega era pratica analogica con la sua polenta e salamelle, il Movimento 5 Stelle ha compiuto il salto di qualità e non escludo si metterà a distribuire, in un futuro nemmeno troppo lontano, smartbox in cambio di pokes (ci voleva poco, lo Zeitgeist si era già tutto formato, le flame wars al posto delle ronde, i trolls al posto dei militanti). Penso che questo implicherà il ritorno al voto inutile alle prossime elezioni, magari non potrò arginare le onde del destino ma almeno mi sentirò apposto con la coscienza.

domenica 1 dicembre 2013

Ho un sacco di preoccupazioni in questo periodo, che mi tolgono la necessaria tranquillità e l'entusiasmo, va a periodi, o forse le preoccupazioni cresceranno esponenzialmente con il passare del tempo, chi lo sa. Per distrarmi leggo di fisica e bevo te deteinato, rigorosamente deteinato, perché sono al limite con l'attuale dosaggio della pastiglia della pressione e già alla sera mi pare di essere in orbita attorno alla terra, è perché sono fisiologicamente ansioso e il freddo e le preoccupazioni non aiutano. Mi dirigo a grandi balzi verso una solitudine che non mi piace più. Mi sento fragilissimo, in balia degli eventi e del destino, e da questa fragilità sale una specie di sgomento, uno spavento, un senso di inadeguatezza di fronte all'enormità del compito e dei problemi da affrontare. Insomma, è un periodo di merda.