Alla fine la rilettura contemporanea del buon vecchio Spinoza - e dico "rilettura contemporanea" perché per forza di cose ci scappa sempre un po' di ermeneutica, cioè di reinterpretazione fisiologica del testo - è quella che ci può tornare più utile: emendare l'intelletto dalle affezioni che annebbiano la mente. Certo, in Spinoza c'è quella ricerca della felicità stabile e duratura che conduce all'imperturbabilità stoica (troppo spesso male interpretata come indifferenza), ma c'è soprattutto l'invito a non farsi sopraffare dalle emozioni, il che non esclude che anche all'asceta, occasionalmente, possano girare un po' le palle.
Gottfried Wilhelm Leibniz, in seguito a un colloquio con Baruch Spinoza
avvenuto quattro anni dopo all'Aia, annotò sul suo diario che il
filosofo olandese, estimatore dello statista trucidato, gli aveva detto
«che il giorno dell'orrenda uccisione dei de Witt voleva uscire di notte
per andare a riporre una lapide sul luogo del massacro, con sopra
scritto ultimi barbarorum [traducibile con «i peggiori dei
barbari», riferito agli autori del linciaggio]; ma il suo padrone di
casa era poi riuscito a impedirglielo, chiudendo la porta a chiave, per
timore che anch'egli fosse fatto a pezzi».
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