A forza di leggere l’Antico Testamento m’è venuta l’ispirazione per una cosmogonia personale:
“Dapprima il Principio creò l’ordine del cosmo così come lo conosciamo, con i suoi grandi spazi, le galassie, le stelle, lo creò come palcoscenico vivente di tutti i fenomeni. Poi il Principio scelse i pianeti come luoghi deputati alla vita, fece emergere dalla terra come cuspidi sporgenti da un piano le piante, gli animali e gli uomini, e sistemò le cose in modo che fossero una volta irradiati dalla luce delle stelle vicine e una volta avvolti dalle tenebre dello spazio interstellare, perché la notte porti consiglio, più tutta la varietà dei fenomeni atmosferici: pioggia, neve, grandine, nebbia umida e calura estiva, perché così come ci vuole l’asciutto ci vuole anche il bagnato.
Il Principio non ha forma, non è nessuna delle cose che esistono ma è in tutte le cose che esistono, è la loro stessa ragione, la norma entro cui assumono il loro particolare aspetto. Il Principio è muto, non giudica, non agisce secondo volontà, è come un ingranaggio che trasmette un movimento, ma oltre al movimento non trasmette nient’altro.”
In ogni cosmogonia che si rispetti c’è sempre una divinità: la mia è il Principio, ma più che una divinità vuole essere, per l’appunto, un principio. Il Principio è il Logos, il Logos oggi ha assunto la forma delle Leggi della Fisica. Gli uomini, per tanto che appiano progrediti, pensano per categorie antiche, più o meno sempre le stesse: ci sono delle leggi che governano il mondo, o esse gli vengono comunicate dagli dei, o sono essi stessi gli dei incaricati di portarle alla luce: l’uomo, il prometeo moderno, è il dio incaricato di portare alla luce le Leggi della Natura, comunicate ai leviti della scienza moderna per illuminazioni successive sui tanti monti Sinai sparsi sulla terra: i laboratori scientifici.
Io mi sento un uomo antico, la spiegazione scientifica non mi basta, quella religiosa non mi affascina, ho bisogno di un sapere più prezioso, indi, in assenza di altro, creo da me la mia cosmogonia: chi fa da sé fa per tre.
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