Il buon vescovo di Cloyne estrasse il velo del tempio dal suo cappello a saturno: velo dello spazio con emblemi colorati tracciati sulla sua superficie. Resisti, tieni duro. Colorati su una superficie piana: sì, giusto. Piatto io vedo, poi penso la distanza, vicino, lontano, piatto io vedo, est, dietro. Ecco, la vedo! Si ritrae istantaneamente, bloccata in stereoscopia. Detto fatto. Voi troverete le mie parole oscure. Ma l'oscurità giace nel fondo delle nostre anime, non trovate?
(Ulisse, episodio tre, Proteo)
Il buon vescovo di Cloyne è George Barkeley, che dal suo cappello a saturno estrasse il coniglio dell'immaterialismo. La realtà che percepiamo, secondo Berkeley, prima ancora di essere vista è pensata. Quel che tocchiamo è la sensazione immateriale degli oggetti, quel che vediamo sono dei segni colorati su una superficie piana, al pari di una trasmissione "televisiva". "Piatto io vedo", la stessa profondità è una sensazione immateriale, un pensato, prima ancora che un percepito (perché noi percepiamo sempre nella mente, e la mente elabora la nozione della distanza prima ancora della distanza in sé). Poi Stephen Dedalus ha la sua epifania: Ecco, la vedo! Si ritrae istantaneamente, bloccata in stereoscopia, con riferimento alla realtà.
Io non so come sia stato possibile per molti leggere l'Ulisse senza i più elementari riferimenti filosofici: impossibile. Voi troverete le mie parole oscure, dice Stephen Dedalus, nomen omen, guazzabuglio di astruserie medievaleggianti (ha studiato teologia dai gesuiti il povero Dedalus/Joyce). In realtà le sue parole sono chiarissime, basterebbe solo una spolveratina di filosofia. Detto fatto, che ci vuole?
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