Un filosofo, è il suo mestiere, deve essere saggio, sono saggio io? Sapimu. Io sono come Socrate che più avanza negli anni e più sa di non sapere, ignoti sauton, tanti saluti. Certo è che saggezza e conoscenza non sono esattamente la stessa cosa, uno può essere saggio senza sapere molte cose, ma le cose importanti, quelle le sa. Io ho ripreso a studiare da Cartesio, lo scetticismo iperbolico di mettere in dubbio perfino la realtà: che non sia tutta sognata? Così come nel sogno tutto ci appare solido, e afferriamo gli oggetti e attraversiamo lo spazio, così potremmo essere noi, sonnambuli nel mondo, sognatori che non sanno di sognare. Però io sogno: sogno dunque sono. Era partito bene Cartesio, poi, com'è noto, il suo progetto di ripartire dalle idee chiare e distinte si arenò subito al secondo ostacolo, un centometrista che inciampa dopo lo sparo. La realtà del pensiero è certissima e vera, io la penso, dunque c'è, sulla realtà materiale occorre fidarsi del buon cuore di Nostro Signore. Però grande merito va a Cartesio: quello di aver pensato la realtà come problematica, separando la percezione del reale dal reale in se stesso. Gli antichi perlopiù pensavano il problema in termini fisici:
"Per Aristotele la visione di un oggetto avviene mediante un corpo trasparente (diafano) come l'aria o l'acqua che fa da mezzo tra l'oggetto e l'osservatore. Se in questo corpo c'è presenza di luce, l'oggetto trasmette all'occhio dell'osservatore la figura e il colore."
Con la filosofia moderna l'occhio che vede, la mano che tocca, vede e tocca solo all'interno del proprio sensorio, e fuori rimane una realtà ulteriore, ora irraggiungibile (Kant) ora del tutto irrazionale (Schopenhauer), ora bisognosa dell'imprimatur divino per esistere (Cartesio).
È dunque saggio il filosofo? Mah, sapimu.
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