martedì 28 novembre 2023

Venire al mondo, ho sempre pensato, non è una bella cosa, il primo degli atti non volontari, si viene al mondo a motivo di due esseri già ampiamente inguaiati con la vita che, rispondendo a un impulso totalmente involontario, instillato nel loro essere come una sequenza di istruzioni (routine), inguaiano un altro esserino che di suo non aveva chiesto niente. A volte mi soffermo a pensare la celeste beatitudine del non essere ancora, una cosa di per sé impossibile e quindi impossibile anche da immaginare, una beatitudine anche superiore a quella del non essere più, perché a priori, priva di tutto il commercio che si è dovuto intrattenere con la realtà: meglio non conoscere l'esistenza, meglio non averla mai conosciuta. Le vie della saggezza Zeus aprì ai mortali, facendo valere la legge che sapere è soffrire, dicevano gli antichi, dei veri tragici, i mortali par excellence, come avrebbe detto Nietzsche. Fanno grandi progetti i mortali, parlano come se non dovessero passare mai, guardano all'avvenire con fiducia considerando l'umanità un grande essere immortale. Il Budda, sant'uomo, aveva pensato il concetto di dukkha, la sofferenza che accomuna tutti gli esseri intrappolati nel ciclo delle vite, e la sua soluzione era quella di uscirne una volta per tutte, da questo ciclo, e non semplicemente morendo, ma dissolvendo la volontà di vivere già in vita (o forse era Schopenhauer): soluzione raffinata. Venire al mondo, ho sempre pensato, non è una bella cosa.

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