Stavo leggendo Putnam, Hilary Putnam, quello dei cervelli nella vasca, il quale sostiene, in linea con il suo realismo del senso comune, che pure i fatti sociali possiedono una loro oggettività e porta l'esempio della storia della sessualità, descrivendo come un tempo l'omosessualità fosse ritenuta un peccato mortale, poi una malattia legata a una disfunzione organica e quindi a una devianza psichica, fino alla situazione attuale in cui non viene considerata nemmeno più come una malattia. Putman ritiene che basti questo percorso a provare "l'errore morale" (lo chiama proprio così) in cui incapparono i nostri incolti antenati, affidando alla scienza il compito di formare la più corretta descrizione della realtà. Un po' ingenuo, il nostro (e infatti pure si definisce un realista ingenuo). La pensavo anch'io come Putnam qualche tempo fa, ma mi sbagliavo. Soprattutto in campo sociale, la scienza non dimostra nulla con la forza sufficiente per imporsi in modo incontrovertibile sugli argomenti degli avversari, la scienza dimostra finché la lasciano dimostrare, finché viene riconosciuta come principale criterio di verità, ma tolta l'investitura, tolta la funzione pedagogica. L'argomento di Putman ricorda inoltre da vicino quello dell'intellettualismo etico di socratica memoria, e cioè che il male sia in buona sostanza ignoranza del bene, come se il bene fosse sempre oggettivamente riconoscibile in quanto tale, non è così, la questione è molto più complessa. L'attuale mutata sensibilità nei confronti dell'omosessualità è figlia di una particolare combinazione di fattori inerenti a un certo tipo di società, non è tanto una conquista della scienza medica e psichiatrica quanto un episodio storico, e converrà agli amici omosessuali sperare che questo episodio possa protrarsi il più a lungo possibile, perché non ci sarà nessun ombrello sotto il quale ripararsi in caso di maltempo.
Per maltempo intendi lapidazione.
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