sabato 18 luglio 2015

Elias Canetti, "Massa e Potere", Biblioteca Adelphi 116, pagg. 227-228

Ogni tanto occorre resettarsi, quando il discorso si è fatto complesso e troppo è stato detto è salutare ritornare alla semplicità del concetto. 

«Il problema della giustizia è antico quanto quello della ripartizione. Ogni qual volta gli uomini sono andati a caccia insieme, si è giunti dopo a una ripartizione. Nella muta erano stati una cosa sola, nella ripartizione dovevano separarsi. Non si è mai sviluppato fra gli uomini uno stomaco collettivo che consentisse a un certo numero di loro di mangiare come una sola creatura. Nella comunione essi hanno dato forma a un rito che s'avvicina al massimo all'immagine dello stomaco collettivo. [...] La giustizia sostiene che ciascuno debba aver da mangiare. Essa prevede però anche che ciascuno contribuisca nella propria misura per ottenere tale nutrimento. La schiacciante maggioranza degli uomini è impegnata nella produzione di beni di ogni tipo. Qualcosa è fallito nella loro ripartizione. E' questo il contenuto del socialismo, ridotto nella sua forma più semplice».

E questa la teniamo da parte quando si tornerà a parlare di perfidia germanica, soprattutto in quel "essa prevede però anche che ciascuno contribuisca nella propria misura per ottenere tale nutrimento".

«Ogniqualvolta, nel mondo moderno, si discute delle modalità di ripartizione dei beni, i seguaci e gli avversari del socialismo sono concordi nella premessa del problema: la produzione. Da ambedue le parti del conflitto ideologico che ha diviso la terra in due metà, di forza oggi quasi pari, la produzione è incrementata e sollecitata. Si produca per vendere, o si produca per ripartire i beni, il processo di tale produzione in se stesso non soltanto non è leso da alcuna delle due parti, ma addirittura è venerato; e non si esagera quando si afferma che esso, agli occhi della maggior parte, ha oggi qualcosa di sacro». 

Ecco, oggi invece il nuovo socialismo latouchiano, quello della decrescita felice, intende mostrare come la questione centrale che rende così cattivo il capitalismo è la sua volontà di produzione infinita. Depotenziando questa volontà di produzione infinita, abbattendone la sacralità, tornerà la giustizia sociale e l'equilibrio fra l'uomo e la natura. Io penso invece che la volontà di produzione infinita sia principalmente un riflesso della finitudine umana, e che nella potenza produttiva l'uomo cerchi la sua redenzione. Non solo ritengo questo assolutamente legittimo, ma anche utile all'accrescimento del benessere generale e al miglioramento delle condizioni di vita. Poi, un'oculata gestione delle risorse non può che far bene a tutti, senza dimenticare che consuma più risorse planetarie Serge Latouche in un solo viaggio aereo che io in tutta la mia vita da sedentario.

4 commenti:

  1. "...Non solo ritengo questo assolutamente legittimo, ma anche utile all'accrescimento del benessere generale e al miglioramento delle condizioni di vita. Poi, un'oculata gestione delle risorse non può che far bene a tutti..."

    Posso anche concordare sull'inutilità del "socialismo latouchiano", ma non pare che in sua assenza, cioè fin qui e dato quel che è dato, l'iper-produzione sia utile "all'accrescimento del benessere generale" né "al miglioramento delle condizioni di vita".
    Può essere stato così, in occidente e fino a qualche anno fa, e sempre e solo per alcuni, quindi non certo per l'effetto redistributivo delle risorse ma solo per un ciclo economico tossico per cui rubando a prezzo di schiavo materie prime ad alcune regioni della terra si poteva con quelle produrre beni da vendere poi a terze altre regioni della terra. In mezzo, qualcuno, grazie a leggi più rispettose della salute e della vita umana, è riuscito ad avere, pur miserabile, di che vivere e fare qualche vacanza.
    Oggi, alla fine di quel ciclo, pochi hanno qualcosa (e pochissimi moltissimo), mentre la moltitudine è priva di tutto.
    Non vedo dove sia l'accrescimento del benessere generale (a meno che l'orizzonte del discorso non sia limitato a selezionate categorie umane e a selezionati paesi del mondo)
    Tantomeno mi pare si possa dire che l'iper-produzione abbia apportato migliori condizioni di vita per tutti: per alcuni sono diventate eccellenti, per altri, molti e molti di più, sono tornate condizioni da caverna.
    Non credo si tratti di abbattere "la sacralità" della produzione, solo di abbattere la fame atavica dell'egoismo umano. Mettere dei limiti a questa fame, alla fine, vista l'incapacità di un'autoregolazione, potrebbe essere perfino un atto di carità nei confronti degli obesi che ormai non passano nemmeno più per le porte e vivono bloccati a dirigere il mondo da una poltrona, per quanto sontuosa.

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    1. Che si possa concordare sull'inutilità del socialismo latouchiano è già un buon punto di incontro. Sul resto, che ti posso dire, non penso si possa limitare la rapacità e la volontà di produzione illimitata per vie politiche se non addirittura morali, tutt'al più una limitazione potrà realizzarsi concretamente per esaurimento materiale delle risorse. E con questo difendo il diritto degli obesi ad essere tali, nell'obeso non vedo la prova provata dei guasti indotta dalla rapacità umana, ci vedo più disfuzioni ormonali e costituzione fisica.

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    2. Ovviamente do per certo che intendiamo entrambi per "obeso" non tanto la persona fisicamente tale, ma quello che pur avendo accesso a tutto non si stanca mai di volere ancora per sé.
      E' questo che non capisco: come possa aver ancora e sempre desiderio di aumentare a dismisura le proprie ricchezze chi ne ha già accumulate da far campare dopo di sé almeno altre 4 generazioni di fannulloni.
      E questa e l'altra cosa: com'é che ai fannulloni benestanti nessuno fa mai la morale?

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    3. Tu dici: come fa uno a volerne sempre di più? Perché è impensabile porre un limite a un desiderio, finché si manifesta, quel desiderio non si pone limiti. L'accumulo dà sicurezza, può confermare le proprie capacità e la fiducia in se stessi. Poi c'è chi si sente più apposto con la coscienza nel porsi un limite. Ai debosciati può capitare che facciano la morale, ma poi quasi sempre la prendono sul ridere, appunto perché sono debosciati.

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