mercoledì 10 luglio 2019

De Maistre

Mi affascina la figura di Joseph-Marie de Maistre, nato in Savoia, allora Regno di Sardegna, il primo di aprile del 1753 (ma non si tratta di uno scherzo), prototipo di tutte le destre reazionarie (reazionarie perché reagiscono alla rivoluzione francese), critico con la restaurazione perché a suo avviso troppo morbida con i rivoluzionari, promotore di un ritorno alla piena autorità papale contro l'eresia della modernità. Sulle enciclopedie viene tacciato di “ultramontanismo”, cioè coloro che si trovano al di là dei monti, come i protestanti definivano quelli che abbracciavano le ragioni della chiesa cattolica romana. I principi della rivoluzione, e quelli della riforma protestante, sono per de Maistre il peccato che allontana dall'ordine politico e sociale voluto da Dio:

“Il mostro tricefalo della modernità che comprende la ragione, la rivoluzione, l'individualismo, gli appare come il prodotto di un grande complotto. Con Locke e Bacone comincia «la più terribile congiura che sia stata fatta contro la religione e contro i troni». La grande follia della ragione rende tutti gli ordinamenti provvisori, sottopone ogni dogma religioso a obiezioni cui è difficile rispondere. Per questo occorre respingere la ragione «come un'avvelenatrice» che mina la felice consuetudine per cui «spetta ai prelati, ai nobili, ai grandi ufficiali essere i depositari e i guardiani delle verità conservatrici». (Il pensiero politico della destra, Michele Prospero, citando lo stesso de Maistre)

Torna utile, il de Maistre, in questa odierna battaglia contro lo spauracchio dell'islamismo e dell'invasione africana, fra omaggi un po' furbetti alla Madonna e appelli accorati alle comuni radici giudaico-cristiane, de Maistre ritorna perché il problema dell'ordinamento stabile della società si riaffaccia ogni volta che sopraggiunge un pericolo che lo mette in discussione e la sola fratellanza fra i popoli ridiventa un concetto troppo vago e incerto per dare pace all'animo spaurito. Il guaio della ragione lasciata senza briglie è che vola troppo alto e perde il contatto con le ragioni delle viscere, la paura dell'estinzione smuove sul fondo tutta la fanghiglia delle inquietudini ancestrali, per cui si può ben dire che anche l'odierno populismo, a suo modo, è un restare umani, troppo umani.

3 commenti:

  1. scusa, ma non sarebbe più semplice ritornare ad un concetto di "ragione" di tipo schopenhaureano ? Una ragione cioè al servizio della volontà ?

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    1. "Ritornare" nel senso di decidere di vederla in questo modo? Perché la volontà che intende Schopenhauer non è volontà di decidere gli scopi e i significati da dare alla ragione.

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    2. sì certo, nel senso di vederla in questo modo.

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