«Si Deus est unde malum? Et si non est, unde bonum?»
Più che sulla persistenza del male bisognerebbe interrogarsi sulla transitorietà del bene, perché vi sia così poca offerta in rapporto alla domanda, che in realtà non sia tutto un gioco d'ombre, un cantarcela e un suonarcela fra di noi, è più che un sospetto. "Bene" dovrebbe essere, allo stato dell'arte, l'amore per il prossimo, l'empatia, quel senso di umanità che ognuno ha in sé e che a ben guardare può riscoprire nell'altro, tutto ciò che dà gioia senza peraltro danneggiare alcuno, e questo in barba a una precedente morale che prevedeva invece il sacrificio di sé, l'asservimento alla tradizione, alle leggi del creato, all'autorità che di quel creato si faceva garante. Il "Bene", in buona sostanza, è per i più ottimisti un'inclinazione naturale che va incoraggiata. Ma se è così, chi ce l'ha messa questa inclinazione dentro gli uomini? La natura, la natura ma in forma di un dio, un dio personale, "deista", un padre buono e comprensivo che ci ha messi al mondo per godere della vita, un dio che non ha più nulla a che vedere con le religioni tradizionali, e talmente è travolgente questa concezione del Bene che perfino nel papa esaltiamo gli aspetti che la confermano ("è un papa moderno") e scartiamo come superstizione quelli che la contraddicono ("è un papa conservatore"). Volete sapere come la penso? Che il Bene non è che la proiezione di vaghe speranze, il segreto sta nel non indagarle troppo.
Mi pare che la ragione non sia mai stata cieca come nella nuova religione.
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