giovedì 17 febbraio 2022

I promessi sposi. Capitolo I

Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno, e cioè in senso opposto alla Val Chiavenna, tra due catene non interrotte di monti che fanno da contorno al sottile invaso del lago, quel ramo, appunto, vien quasi ad un tratto a restringersi e a prender corso di fiume all'altezza dell'Esselunga di Malgrate, e ivi i ponti che congiungono le due rive, il più importante dei quali è oggi quello della Statale 36, che par che renda ancor più visibile all'occhio il punto in cui l'Adda cessa e poi ricomincia e riprende nome di lago, di Garlate, e poi di Calolziocorte.  

Ora, suppergiù da quelle parti, sulla sera del 7 novembre 1628, tornava bel bello presso la sua casa un curato di campagna, don Abbondio. Diceva tranquillo le sue preghiere e tra un salmo e l'altro chiudeva il suo breviario tenendoci il segno con un dito. Siccome anche alla gente che se ne sta buona buona per i fatti suoi accade talvolta, e senza una ragione, di venir coinvolta nel pandemonio del mondo, questo accadde quella volta anche al nostro buon curato: due bravi vestiti da corsari lo aspettavano al bivio, scagnozzi di un signorotto locale e per giunta anche straniero, come capitava sovente, ahimè, in tempo di occupazione spagniuola. Don Abbondio si stropicciò gli occhi come se avesse visto spuntare dalla terra due demonî. Possibile che cercassero proprio lui? In effetti sì, era proprio lui che cercavano. Lo cercavano per parlargli di una tale Lucia Mondella e di un tale Renzo Tramaglino che di lì a breve avrebbe dovuto unire in matrimonio, ma riferendo l'indicazione precisa, accompagnata da velate minacce, che quel matrimonio non s'avea da fare. Cercò di balbettare qualcosa il povero don Abbondio, che per lo spavento si era messo a tremare, ma non ci fu verso con quei due vasi di ferro, troppo coriacei per la sua buccia di terracotta.

Insomma, don Abbondio se ne tornò a casa mezzo morto dallo spavento e appena girata la chiave nella toppa si mise a chiamare la perpetua, che di nome faceva proprio Perpetua, perocché dopo il Manzoni il termine fu adottato per antonomasia ad indicare tutte le perpetue. Era, Perpetua, una gran pettegola e sensibilissima in certe questioni, sicché a vedere in quello stato il suo curato subodorò subito la situazione. Don Abbondio oppose scarsa resistenza (era nell'indole del personaggio non aver forza d'animo) e vuotò praticamente il sacco. Al sentire il nome di Don Rodrigo, il mandante della ribalderia, Perpetua balzò per aria e suggerì subito al curato di informare immediatamente i suoi superiori, ma lui proprio non ne volle sapere, troppo spaventato, poveretto, sicché il capitolo si chiude con don Abbondio che predica silenzio assoluto su tutta la faccenda, ne va della sua stessa vita, e tosto raggiunge il letto per la disperazione.

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