mercoledì 25 febbraio 2015

Cellular Automata


[Tiè, beccateve 'sto pippone]

E' da un po' che volevo parlare di questi famosi (si fa per dire) automi cellulari. In effetti, quando si parla di filosofia digitale (e qui si potrebbe azzardare pure un "ontologia"), non si può prescindere dal considerare anche questi curiosi costrutti teorici che pure avrebbero l'ambizione di porsi a fondamento della realtà. Un esempio già abbastanza complesso di automa cellulare è il seguente:

 

Trattasi di oscillatore di periodo 8 (perché si ripete uguale ogni 8 passi), altrimenti detto Galassia di Kok. Non vi sfugga il fatto che con la diffusione dei tabelloni luminosi, della grafica digitale e dei videogames siamo praticamente circondati da questi curiosi esserini quasi senzienti che oramai si fanno largo nel mondo con l'ottusa pervicacia delle colture microbiche. Alla base dell'automa cellulare c'è un'idea molto semplice: creare strutture complesse e autogeneranti partendo da un minimo di regole iniziali. Si stende una griglia, si pongono due stati possibili (casella piena, casella vuota), e poi si danno delle regole di sviluppo. Si formano così delle strutture autogeneranti partendo da due soli stati, I/0, vale a dire logica binaria, che vale a dire computer, quindi realtà digitale.

Quello che stupisce negli automi è la loro straordinaria capacità di riprodursi e di ripetersi, cioè tornare allo stato iniziale dopo una certa serie di passi, partendo da regole semplici ed eventualmente poste a caso. Altri si ripetono sempre diversi all'infinito (problema interessante connesso a quello della fermata), altri ancora si interrompono dopo pochi passi. Ulteriore motivo d'interesse è la loro capacità di generare l'illusione del movimento e quindi della vita.

Detto questo, ci volle davvero poco perché gli automi cellulari, da semplici e astratti passatempi per pionieri dell'informatica, spiccassero il volo verso la realtà vera e propria. Ci fu infatti chi azzardò l'ipotesi che la natura stessa procedesse attraverso la creazione di automi cellulari, per esempio il famoso broccolo romanesco o la livrea di certe conchiglie quando non la stessa pelliccia di certi felini, e ancora la struttura dei cristalli, lo sviluppo dei microrganismi, la forma delle galassie e così via. 

Da un certo punto di vista la cosa parrebbe anche ovvia, almeno da quando s'è fatta largo l'idea che alla realtà ricca e diveniente corrisponda un substrato di natura matematica ("il concetto di matematica come realtà platonica esistente a prescindere dalla realtà fisica"). Ma la novità vera sta nell'azzardare che, dato che la realtà non sarebbe continua bensì discreta, fatta essenzialmente di quanti e di particelle, la natura ultima della realtà è essenzialmente digitale, l'universo sarebbe del tutto simile a una gigantesca macchina computante in cui gli automi cellulari costituiscono il plesso teorico (e non) fondante e fondamentale.

Dunque, quell'esserino in alto che vedete dimenarsi apparentemente senza sosta sarebbe stato creato da un insieme di automi cellulari più complessi quali quelli organici che compongono il nostro corpo e la nostra mente, automi che creano altri automi, diversi livelli di realtà e di coscienza, incastrati gli uni dentro gli altri come matrioske, e la domanda sorge spontanea: chi ha posto le regole iniziali dell'universo? L'ateo dice: si sono generate da sole, da un insieme di regole fisico-matematiche relativamente semplici che hanno poi dato origine a questa vasta complessità autogenerante (l'universo come automa definitivo che contiene tutti gli automi possibili). Il credente ribatte: E' Dio il grande creatore, il primo motore, il programmatore immobile (del resto, se Dio non si mostra, impossibile confutarlo per via empirica, e allora basterebbe mettersi d'accordo su cosa si intende per Dio: se Dio è logos e cioè l'insieme delle regole che danno vita all'universo autogenerante, allora anche gli atei diventerebbero deisti d'ufficio).

5 commenti:

  1. A casa nell'universo - The Search for the Laws of Self-organization and Complexity, Stuart Kauffman.

    Libro consigliatomi da un Prof nel '97, l'idea è stata partorita a Palo Alto, uno dei luoghi più fricchettoni dell'accademia USA, chissà a che punto sono oggi.

    Sistemi sufficientemente complessi composti da elementi in grado di interagire tra loro, formano dei network intelligenti. Le proprietà del network "emergono" spontaneamente, ma non per caso, dice kauffman. E lo sottolinea: non non siamo qui per caso, il ruolo del caso nell'evoluzione è sopravvalutato e male interpretato. L'autoorganizzazione è inevitabile ed emerge da sistemi sufficientemente complessi (solo se si raggiunge una massa critica).

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    1. A Palo Alto la sanno lunga. In effetti, a grandi linee, io sarei orientato più verso il destino piuttosto che verso il caso, ma, ahimé, il mio povero cerebro non riesce a spingersi molto più in là dell'intuizione. Forse con il peyote di Palo Alto...

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  2. E comunque vi assicuro che nel lontano anno '82 era davvero divertente giocare a Life, magari dopo averlo programmato in assembler Z80 su un sistema di sviluppo per microprocessori :-)

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  3. Mi sembra di riconoscere un virgolettato...
    Sempre interessantissimi questi argomenti, altro che pipponi!

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