martedì 6 dicembre 2022

Autobiografia

Delle mie origini calabresi me ne ero completamente scordato, nato al nord, cresciuto a Moglia di Sermide, Mantova, se devo imprecare lo faccio in basso mantovano, tipo "ma sborat", "cat vegn an fulmin" e "va a cagar", che esprimono rispettivamente i concetti di "vaffanculo", "che ti venga un accidente" e "vai a cagare". Mio nonno che era invece di Lusia, Rovigo, si esprimeva in termini leggermente diversi, tipo "vaca miseria impestada fino ai ioci" e "a piove a sece rovese" ("vacca miseria impestata fino agli occhi", "piove a secchiate (rovesciate)"). Se uno deve individuare le sue vere origini deve guardarsi dentro e considerare la lingua in cui gli viene da smoccolare: dimmi come smoccoli e ti dirò chi sei. I miei geni meridionali si manifestano in me giusto per qualche predilezione culinaria, come per esempio quella per il sugo di pomodoro, che a suo tempo mia nonna ha dovuto imparare a cucinare chiedendo alla sua omologa calabrese, mio nonno invece non poteva sopportare il pomodoro, diceva che gli ricordava il sangue, e quando andavamo in pizzeria "di là da Po", passato Castelnovo Bariano, sulla via per Bergantino, la ordinava bianca. Col senno del poi e considerati certi problemi di acidità, posso dire che non aveva tutti i torti. Prima del pomodoro in casa la pasta la si condiva con la salamella, certi grani duri e arrostiti che a metabolizzarli ci passavi le giornate, gli gnocchi invece alla veneta, con lo zucchero, il grana e la cannella. Moglia era proprio "quattro case e un forno", anche se a dirla tutta c'era anche un mulino, e un caseificio che fungeva anche da macello, i maialini svoltavano giusto di fronte a casa nostra, gridavano disperati come se conoscessero già il loro destino. Questi maialini, ahimè, si trasformavano tutti in salami, salamelle e cotechini da leccarsi i baffi, e devo qui confessare anche una passioncina per la coppa. Si stava bene a Moglia, si viveva senza pretese, il pane era allegro pure lui, la coppia ferrarese che assomigliava alle corna di un cervo, con i cornini croccanti e il cuore tenero e burroso, fatto con lo strutto. Ho riscoperto per puro caso il gusto perduto dei favetti veneti in un dolce calabrese, i turdilli, che però restano più duri e vengono annegati nel miele, i favetti erano invece spolverati con lo zucchero a velo. C'è un altro sapore che ho perso, quello del sugul, il budino di mosto d'uva, che ora come ora probabilmente non riuscirei ad assumere senza l'aiuto di un inibitore della pompa protonica. Vi ho mai raccontato di quando andavo al mercato a Sermide con mia nonna e il formaggiaio mi dava sempre una scaglia di grana da assaggiare? Io all'epoca non lo apprezzavo e facevo una faccia come se mi avesse dato da mangiare un limone, ma da bravo bambino fingevo che mi piaceva. Il mercato era pieno di rasdore (le donne di casa), signore variopinte e dalle taglie forti che piluccavano tutto prima di comprare. Che tempi gente, che meraviglia.

2 commenti:

  1. madeleine mantovana al sugo
    bei tempi, quando il profumo del pane lo sentivi a centinaia di metri dal forno, quando la frutta ancora acerba rubata al contadino aveva un suo sapore, quando i krapfen non erano quella robaccia congelata come ora. ne potremmo scrivere per chilometri. viene da parafrasare Talleyrand: "chi non ha vissuto gli anni prima della merda presente non può capire che cosa sia la dolcezza del vivere".

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  2. Il profumo del pane si sentiva perché il Covid non ci aveva ancora rovinato l'olfatto. La frutta al contadino la rubavamo quando potevamo correre. Gli anni prima della merda presente sono quelli di quando erano pochi, come i chilogrammi. E poi a vent'anni anche la merda ha un suo profumo.

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