C'era bisogno per stigmatizzare un fatto puramente politico - come oggi ci assicurano tutti da sinistra («Per noi non cambia niente, le nostre accuse contro Salvini sono sempre state politiche», assicura Arturo Scotto) - di mettere in piedi un processo, occupare il sistema giudiziario, spendere tempo e risorse per un procedimento che si è risolto nell'insussistenza del fatto? Questa cattiva abitudine di utilizzare la magistratura per scopi politici, questa brutto vizio, lassù nelle alte sfere, di farsi fuori con tutti i mezzi possibili, finisce per non rendere sicura la vita nemmeno a noi, minuscoli cittadini, che abbiamo sempre l'impressione che la giustizia sia un circo che investe la gente come una lotteria, con altri scopi che non sono quelli che ci vengono annunciati (si ha un bel parlare di Kafka, ma è evidente che lo si intende solo a piacere proprio, secondo i casi e le necessità). (e poi la solita manfrina: «Le sentenze si rispettano», che è come dire: ci costa, ma vi facciamo vedere quanto siamo beneducati. "L'educazione sarebbe l'arte di parere inoffensivi", Corrado Alvaro).
Condivido l'impressione da minuscolo cittadino su giustizia e magistratura.
RispondiEliminaUna volta sola - non ricordo neanche il motivo, forse la ricerca di una scartoffia - sono entrato a piazzale Clodio, dentro il Tribunale ordinario di Roma; non più di 30 minuti, sono bastati: un luogo perfetto per girare Mi Manda Picone di Nanni Loy.
Un caleidoscopio di aule, udienze, cancellieri, faldoni, avvocati, trovarobe, toghe, magistrati, altri faldoni; un luogo - la giustizia - che ho sempre considerato nulla di meno che pericoloso, dal quale tenersi alla larga ad ogni costo. Questo ho sempre pensato del nostro potere giudiziario, che assimilo ad una ruota della fortuna dove nella migliore delle ipotesi umiliazioni, nella poggiore un inferno in terra.
È un congegno inadeguato in generale, con la sensibilità di un doppio decimetro per misurare le molecole.
Per le frottole più sfacciate, non di rado, si decide di dare grande enfasi, scrivendole a caratteri cubitali e issandole sulle pareti: «la legge è uguale per tutti» nei tribunali; «mai più» subito dopo un olocausto e subito prima di spontanee caccie all'ebreo nelle strade della città, con annessi linciaggi.
Solamente la fortuna avrebbe saputo salvare il minuscolo cittadino Giuseppe Di Noi che, fermato alla dogana mentre torna - dopo lungo tempo - in Italia, con la famigliola svedese per portarla in vacanza; il Di Noi viene invitato a scendere ed entrare negli uffici: si tratta di una semplice formalità.