martedì 2 maggio 2017

Turandot



Mi sono perso dentro un sogno che si chiama Turandot. Se all'orecchio più villano potrà sembrare l'ennesimo esercizio di esotismo pucciniano (e ce ne fossero), be', non ha fatto i conti con l'incanto della musica che lo trascinerà suo malgrado in un mondo meraviglioso da Mille e una notte, fantasmagoria di suoni e di voci celestiali, con in più quel tocco di comicità che nel miglior Puccini non manca mai. Poco importa se Cina e Persia si confondono, anzi, fino al coro funebre di Liu, vero finale dell'opera lasciata incompiuta, tutto si regge proprio in virtù della sua incoerenza e forse è proprio il finale apocrifo la parte meno interessante, lì dove tutto viene ricondotto frettolosamente alla logica del lieto fine da mani meno ispirate, Puccini non ne ha colpa (pare che fino all'ultimo fosse ancora indeciso sul da farsi). E' una fortuna che abbia incrociato l'opera a quest'età, è una compagnia mica da poco, un bel modo per affinare ulteriormente i sensi.

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