venerdì 13 giugno 2014

Le fatiche della felicità

Pensieri dell'insonnia, prima del temporale: poniamo il caso che la felicità non sia tanto qualcosa da raggiungere quanto piuttosto qualcosa da cui si viene raggiunti. Quante volte disponiamo tutto l'occorrente per essere felici, imbandiamo la tavola, e quasi ci sentiamo defraudati se la felicità non si presenta all'appuntamento, per non parlare degli impiegati della felicità o dei professionisti dello sballo, gente che della felicità ha fatto uno standard e per riconoscerla ha bisogno di consustanziarla nel possesso di una cosa o in un mojito o in qualche altra diavoleria psicotropa. Certamente una certa serenità d'animo è propedeutica alla felicità, l'inquietudine non giova, ma insomma questa ossessione per la felicità, molto tipica della contemporaneità, la quale propone questo tipo di uomo liberato da tutti gli ostacoli che un tempo non la rendevano possibile, finisce inevitabilmente per tramutarsi in nevrosi qualora ci si ritrovi, nonostante tutto, infelici (condizione fra le più comuni). Come già detto, senso di colpa e sentimento di inadeguatezza rispetto a un senso del mondo oramai dominante, il non sentirsi all'altezza del compito, il non sentirsi all'altezza della modernità. La ricerca della felicità da liberazione a coercizione. Vedrei invece la felicità come un epifenomeno della serenità (assenza di inquietudine), la quale predisporrebbe quel terreno fertile sopra il quale, del tutto imprevedibilmente, la felicità sboccerebbe e si farebbe largo senza alcuna fatica (e d'altronde, s'è visto mai un filosofo andare dallo psicanalista?).

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