venerdì 30 maggio 2014

Mi spiace vedere questo mio amico filosofo che si è infilato in una sorta di lotta senza quartiere al capitalismo, esortandoci a trovare un nemico e combatterlo, finendo per concludere che il movimento di Grillo è di gran lunga il migliore del panorama politico italiano e fors'anche mondiale. A che pro questo manicheismo che ci divide tutti in buoni e cattivi, Berlino est e Berlino ovest, quale urgenza, quale pulsione alla purezza e all'integrità morale? Certamente lui non si dispiace affatto, nella sua ottica sarei io lo schiavo salariato che accetta il suo destino senza fiatare, ma che posso dire? Che la contaminazione è una strategia migliore della contrapposizione diretta (e speriamo che i grillini non lo capiscano troppo in fretta!). Tentare di abbattere il capitalismo cooptando un gran numero di buoni e giusti che riescano a respingerlo e a mantenerlo a distanza con la sola forza della loro incorruttibile volontà è impresa destinata al fallimento in mancanza di un vero stravolgimento delle condizioni materiali ("materiali" in senso marxiano). Io tendo ad essere comprensivo, a capire l'altro, a rendermelo accessibile, a tagliare i giudizi con l'accetta si finisce per giustiziare i concetti e a girare a vuoto entro gli angusti limiti del proprio cerchio magico.

giovedì 29 maggio 2014

L'interpretazione di Copenaghen (contro il mal di Renzi)

C'è chi si sta facendo il sangue amaro su Renzi rimarcando come il 41% del 57% dei votanti equivale in realtà al 23% degli aventi diritto [(41*57)/100]. In realtà basterebbe contare i votanti, da cui si evince che Renzi ha preso più o meno gli stessi voti che prese Veltroni nel 2008 (33%). Tuttavia la scienza ci insegna che qualcosa esiste solo nei termini in cui si manifesta e se non si manifesta è metafisica. Che senso ha domandarsi cosa sarebbe successo se avessero votato anche gli astenuti? Si rischia di fare un processo alle intenzioni, di fare discussioni sul sesso degli angeli. Dunque sono prive di senso le domande come: «Dov'era la particella prima che ne misurassi la posizione?».

A proposito, a Stefano Fassina è apparsa la madonna.

mercoledì 28 maggio 2014

A freddo direi che ha vinto Grillo, hegelianamente ha vinto Grillo, la rottamazione come reazione positiva al fanculismo negativo (Il Renzi come sintesi del movimento dialettico che parte dal socialismo asfittico del vecchio PD pungolato dal negativo grillino e infatti Renzi è il grillismo dei dalemiani: tutti a casa!). Se il PD non avesse espresso al suo interno e al suo esterno questa forma di ribellismo light tutto sorrisi e camiciole sciancrate forse per Grillo sarebbe stata in discesa, ma la storia non si fa con i se e con i ma, anzi, io starei proprio qui a testimoniare, vecchio cavallo di battaglia, che accade solo quel che accade e mai quello che sarebbe potuto accadere e questo passaggio storico non fa eccezione. A freddo direi che ha vinto Hegel e siccome ne consegue che tutto è in divenire e ogni parte e in relazione con l'altra direi che nulla vieta di pensare che all'exploit di Renzi, una volta esaurito il suo credito, potrebbe finalmente seguire l'exploit di Grillo (ma tutto dipenderà da quanto le circostanze vorranno concedergli in termini di credibilità politica e adattamento allo spirito del tempo). (a perdere invece è il centrodestra proprio perché non ha saputo rottamarsi abbastanza - e il rinnovamento è lo Zeitgeist -, Alfano è troppo poco, troppo timido e indistinguibile il suo defilarsi e il suo adeguarsi allo spirito del tempo, per cui Alfano non è suggestivo, non tiene il quid).

Non faccio valutazioni economiche, non sono un economista, mi limito solo a pensare come i successi elettorali dipendano in larga parte non solo dalla capacità di gestire il consenso ma prima di tutto a suscitare la suggestione di una possibile soluzione, la chiamano "speranza" ed è la speranza che genera il consenso. Indipendentemente dalla capacità o meno di risolvere i problemi (che ogni tecnico ha la sua opinione in merito) risulta vincente chi più riesce non già a risolvere il problema, quanto a suscitare l'idea che sia risolto. Quei famosi 80 euro hanno più di un significato indipendentemente dal fatto che siano o meno delle mere partite di giro, con quegli 80 euro Renzi si è mostrato più capace dei sindacati e più concreto dei suoi avversari. In ultima analisi, non è tanto il portato contabile dell'operazione (la sua "verità economica") a dover fare la differenza, a decretarne la validità è bastevole il suo portato di suggestioni (perché concretissima può essere anche la suggestione). A questo punto qualcuno penserà che basti uscire dalla suggestione per abitare il regno della verità ma prima o poi si renderà conto, grattando appena sotto la superficie, quanto sia difficile abitare stabilmente il regno della verità e quanto invece venga più naturale abitare in regno della suggestione (e come la stessa suggestione non sia, in fondo, la verità: di suggestione in suggestione, s'è fatta la storia).

martedì 27 maggio 2014

Qualcuno pensa: se solo ci liberassimo dai vincoli di bilancio, da questa intollerabile dieta impostaci dalla perfidissima Merkel, l'Europa riprenderà ad ingrassare e come per incanto, dalla Cantabria alla Boemia, ritornerà il buonumore. Il prof. Birkenmeier mancia dafanti nostri okki, loro diminuiscono età pensionabile, noi infece costretti laforare fino nofanta anni!



Greco sirtaki manciato troppe polpette, venti frustate. Italianen continuato manciare polpette, venti frustate. Spagnolo continuato sprecare cibo, venti frustate. Naturale che a qualcuno questo Stand der Dinge abbia evocato le SS e i campi di concentramento, ma giusto una cosa così, alla Sturmtruppen. Dio ha voluto che proprio ai tedeschi toccasse l'onere di metterci a dieta, naturale che serpeggi un certo spirito antigermanico o vorrebbero le anime belle che i colpevoli si mettano a baciari i piedi ai loro inquisitori solo per il fatto di trovarsi dalla parte del torto? I primi della classe non sono mai stati molto popolari.

lunedì 26 maggio 2014

La critica che Marco Travaglio muove a Matteo Renzi non può andare molto aldilà dell'accusa di essere un bluff e che occorre solo dare agli italiani il tempo necessario perché se ne accorgano, per poter andare a votare in massa il suo amatissimo M5S, il quale attualmente pare l'unico movimento ad avere il patentino di sana e robusta costituzione morale. Ma, deo gratias, perché l'uno sarebbe un bluff e l'altro no? Pur concedendo la buona fede ai tanti giovani di belle speranze che muovono i loro primi passi appassionati assieme a Grillo, ma chi garantisce che la sola buona fede sia garanzia di un corretto approccio alla realtà? Che siano onesti è incorruttibili fa loro onore, ma la sola onestà non è garanzia di capacità. Lo sbruffoncello seduto di taglio da Bruno Vespa, invasato e compiaciuto della sua aurea di capopolo, è stato investito di troppa autorità in ogni campo dello scibile, chi si prende la briga di dubitare della correttezza delle sue valutazioni? Sbagliati i toni, si dice da più parti, Grillo scherza nove volte su dieci e dei suoi scherzi rimangono solo i titoloni sui giornali, i quali fanno scalpore. Un gigantesco misunderstanding, una commedia degli equivoci che sporca la reputazione di un uomo fondamentalmente buono ma demonizzato dalla stampa. Ma questa fondamentale bontà a quali valutazioni farebbe capo? Le belle anime di Travaglio e Padellaro, all'eterna ricerca del Santo Graal.

Del linciatore caduto in disgrazia

Se riesci a non perdere la testa quando tutti intorno a te la perdono e ti mettono sotto accusa. Se riesci ad avere fiducia in te stesso quando tutti dubitano di te, ma a tenere nel giusto conto il loro dubitare... adesso ci state prendendo in giro. Vi capisco. Mettete proprio il coltello nella piaga... è questo chiagni e fotti, questo vittimismo, questo implicito appello alla clemenza della corte del linciatore caduto in disgrazia che trovo insopportabile e molto tipico del tipo umano e non mi si venga a fare la morale sui toni che uso contro Grillo perché sarebbe a dire il bue che da del cornuto all'asino. Si rifarà, è plausibile, e allora toccherà a noi farci rigirare il coltello nella piaga ma solo perché ce lo meriteremo mentre lui, per carità... il guru di 'sti cazzi e Casaleggio Associated al seguito.

"Io e il PD al 40%"

Sotto sotto percepivo che il Renzi fosse l'ultima faccia spendibile (e l'unica accattivante) del PD, ma la vittoria con percentuali bulgare, pur al netto dell'astensionismo, nessuno avrebbe potuto immaginarlo. Mi ero fatto prendere dalla sindrome del giaguaro smacchiato, mi pareva di vedere Grillo al ventotto per cento e il PD mestamente a ruota. Dunque la forza di Renzi starebbe in questa sua innata capacità di far entrare il vuoto in risonanza e rianimarlo, renderlo traboccante di palpabili suggestioni (sembra pagare la scelta di palese e manifesta accettazione delle leggi del mercato a scapito del socialismo asfittico della vecchia guardia, non combattere il mercato ma tentare di abitarlo, la conquista del nord sta lì a testimoniarlo. Dalla sua mutazione genetica il PD ha tutto da guadagnare). Ora sarà interessante capire quanto riuscirà a mantenersi all'altezza del suo incantesimo da qui fino alle politiche (perché bisognerà pur andare a votarlo questo governo e non per interposta elezione, dicono usi così in democrazia).

Qualcuno dice: ma il PD per stravincere ha dovuto snaturarsi. Ma è proprio questo suo mutamento antropologico a sostenerne l'exploit, l'abilità del Renzi sta proprio in questa sua leggerezza, nel sapersi reggere su pilastri di cartone come fossero di granito.

(e stavolta D'Alema aveva capito tutto).

sabato 24 maggio 2014

Ultimo tentativo disperato, facciamo come se parlassimo a un elettore di dodici anni: "ma no, dai! Grillo lo votano solo gli ignorantoni, è un comunismo irrancidito da vent'anni di berlusconismo, una merda trattenuta troppo a lungo, quattro cagate ecologiste e la giustizia sommaria che piace tanto alla suburra." E loro per contro: "perché dici così? Grillo è così buono, sei tu che sei maligno...". Difficile trovare argomenti contro la banalità del bene.

venerdì 23 maggio 2014

martedì 20 maggio 2014

E libera di qui e libera di là a forza di liberare viene meno anche il senso del dovere, e chi ha più voglia di fare sacrifici e caricarsi di responsabilità, per la Patria, per giunta? Da quando la libertà è diventata merce a buon mercato (libertas abundat in ore politicorum, e mi scuseranno i latinisti), chiave universale per aprire ogni porta, ci si stupisce che vi sia ancora qualcuno che si faccia carico del bene comune, posto che non sia la semplice somma degli egoismi personali, come vorrebbero certi residuati dell'ideologismo novecentesco. Liberi di consumarsi, slegati da ogni vincolo etico e morale (Ratzinger si sarebbe messo le mani nei capelli, Bergoglio ci vede un'occasione), il liberarsi per il liberarsi, la furia del dileguare. C'è un transfert in atto fra il Dio agonizzante è la nevrotica urgenza di riempirne il vuoto, vuoi con la Scienza (liberatoria par excellence), vuoi nella cronica aspirazione a una liberazione permanente che non ha altro scopo se non la novità come medicamento per la frustrazione del momento (è per questo che non dura più niente, la soluzione di oggi tornerà ad essere l'impedimento per la realizzazione di un domani).

(prima gli animali si ribellano agli uomini e si impadroniscono della fattoria, grande entusiasmo fra il pollame, poi i ronzini si rendono conto di essere stati mandati al macello su ordine dei suini che nel frattempo si sono fatti nuova classe dirigente, ci si potrebbe scrivere un libro).
E' vero, la soluzione sarebbe stata fare dell'Italia un paese competitivo ma siccome abbiamo avuto da vent'anni a questa parte solo governi che hanno rimandato la questione invece di occuparsene, governi che vivacchiavano e liti da cortile o alla peggio che avevano tutto l'interesse a fomentare un certo malcontento per sfruttarlo a fini elettorali e una volta al comando gestire il consenso, ecco, siamo giunti a questo punto in cui l'ultimo imbecille che urla al mercato delle vacche sembra a molti l'unica scelta possibile e la più necessaria, disperati, come dice Berlusconi, ma disperati anche per una sua precisa responsabilità e per quelle dei suoi oppositori. E ora che siamo ai "se fosse stato, se invece di" ecc., ci sembra che una volontà diversa avrebbe potuto salvarci e invece quello che si mostra è un destino, implacabile nella sua precisa compiutezza. E se questa vi sembra tautologia bella e buona allora vi lascio volentieri a meditare sulla reale consistenza della libera volontà e sulla reale utilità del rimpianto.

lunedì 19 maggio 2014

Se non sai spiegarmi la felicità è inutile che me ne parli.

domenica 18 maggio 2014

La ricerca della felicità (genera mostri)

Qualunque spiegazione è meglio di nessuna spiegazione, questa regola aurea che viene dal passato (Crepuscolo degli idoli) si può benissimo applicarla alla politica. Come nasce l'infatuazione, la volontà di credere a questa "proposta politica" piuttosto che a un'altra? L'ignoto, la crisi, il senso di spaesamento si manifestano originariamente come stati emotivi e fisiologici in cui prima di tutto percepiamo un dolore, un malumore, un malcontento. Per cui noi attribuiamo più facilmente valore di verità a spiegazioni che allontanano l'insicurezza e con l'insicurezza l'infelicità. Il trucco di un movimento politico ben riuscito, in grado di creare la famosa "massa critica" - e qui ci inseriamo noi -, sta nel riuscire ad entrare in sintonia con questo bisogno fisiologico di uscire dall'insicurezza e cioè nel rendersi consolatorio, di farsi percepire come tale in un determinato passaggio storico. Perché è così difficile convincere un politico che ha torto? Non solo perché recedere dalle sue certezze comporterebbe uno screditarsi agli occhi dell'elettore, il quale riversa nel politico le sue aspettative di senso, ma perché "il piacere e la forza dell'argomentazione viene scambiata per la verità dell'argomentazione" (Carlo Sini, "Il problema psicologico della conoscenza" - Lez. 4 - @Filosofia e Metodo - P. 1/2). Dunque il politico si specchia nei suoi argomenti, i quali gli devono dare piacere, trasmettere un senso di forza, le cose devono stare così perché se stanno così sto bene, il criterio è il piacere (e la nostra è prima di tutto una società del piacere alla continua "ricerca della felicità").
In effetti ho spesso la sensazione, sintomo di non so quale patologia nervosa, che il mondo mi scorra davanti come uno spettacolo che non mi appartiene, probabilmente mi manca quella fondamentale sicurezza, che perlopiù appartiene agli individui sani, di essere il vero intestatario delle mie azioni, e invece in me questo caotico formarsi di luci, colori e visioni è sempre accolto con una certa riserva. Già pensare di essere se stessi è un grande atto di immodestia.

sabato 17 maggio 2014

Wahnbriefe

Chissà se Nietzsche pensava a questo quando parlava di Übermensch, chissà se non si possa parlare di Überhitler, nell'interpretazione data al prefisso da Vattimo (era difficile pensare a qualcosa di peggio di Berlusconi, ma noi ce l'abbiamo comunque fatta, tutto merito del genio italiano).
Da molto tempo siamo, per così dire, in una fase di ubriacatura da libertà, l'umanità è come un giovane che pensa di poter essere padrone del proprio destino, artefice della propria fortuna. Non si avvede che è determinato più di quanto pensi di poter determinare e, se solo se ne avvede, fa di tutto per ricacciare lontano questo pensiero per lui disturbante e crea dei grandi racconti consolatori, quali le ideologie rivoluzionarie o la fiducia nelle proprietà emancipatorie della scienza e del libero mercato, l'ho fatto anch'io e lo so bene e cioè credere che potessimo darci volontariamente la libertà e questo fosse l'ideale più alto. Guarire da questo malanno è come farsi passare il mal di testa o togliersi un dente che duole, chi ha imparato a morire ha disimparato a servire (non è Terzani, è Seneca). Io posso capire che i giovani filosofi si mettano a scrivere dei libri sulla necessità di avere coraggio e tengano in gran disprezzo l'ignavia e la codardia, la giovinezza è l'età in cui più si è vittima delle proprie suggestioni e dei propri entusiasmi. La cosa invece che più mi da fastidio è questa accusa di fatalismo che ti piomba addosso come una colpa, come se si trattasse di vilipendio, ma la libertà non è un diktat, molteplici sono le strade che portano alla liberazione e in questo senso è liberatorio anche il liberarsi dalla religione della libertà. Tutta questo agitarsi attorno all'idea di libertà è un segno di una diffusa patologia che in questa società assurge invece al ruolo di attestato di sana e robusta costituzione psichica. Libertà del popolo, libertà dal popolo, liberalismo, dei giganteschi happening di autosuggestione, palliativi contro la dolorosa incombenza della meditatio mortis.
Ma ditemi voi cosa c'entra Dudù, lo si vede benissimo che è la vittima inconsapevole di una sceneggiata. Cristiano De André ci assicurò a suo tempo che Grillo è una persona per bene e che c'è un brav'uomo oltre quella maschera da isterico buffone, voglio fidarmi e spero si sia confuso con la protezione animali. Il Dudù assomiglia un po' al Tomy, il cagnolino di mio padre, morto di vecchiaia qualche anno fa, solo un po' più vaporoso e tenuto bene perché il nostro era diventato del colore del caramello e gli si era infeltrito il pelo, aveva i dreadlocks. Ti voglio ricordare così.

venerdì 16 maggio 2014

Immagino che sappiate cos'è la "fuga delle idee" e cioè quella particolare patologia, indotta da sostanze psicotrope o da un'intossicazione da serotonina, per cui la produzione spontanea delle idee accelera fino al punto da non riuscire più a seguirla e si rimane come spettatori inebetiti di fronte a un caleidoscopio impazzito. Per fare un esempio, quando il disco della mente gira a 33 giri allora ci diciamo nel pieno possesso delle nostre facoltà, se lo stesso disco gira invece a 45 allora no, siamo pazzi. E quindi sarebbe da notare come non siamo comunque liberi di porci all'origine della produzione spontanea delle idee, ma quando questa è lenta e cioè quando gira, per così dire, alla giusta velocità, ci pensiamo padroni, quando invece accelera fino al punto da non poterla più seguire ci diciamo servi. A questo punto voi sapete come la penso e cioè che siamo sempre e comunque servi in relazione alla nostra presunta capacità di arbitrio.

giovedì 15 maggio 2014

Come dicevo al telefono, tanto Grillo prima o poi ci tocca, se non è oggi sarà domani, lo puoi arginare giusto un paio di volte ma prima o poi ci tocca (ne abbiamo già viste tante, ci toccherà di vedere anche questa). Oggi ascoltavo Serge Latouche e la sua idea di decrescita felice o se volete di miseria controllata (ma guai a dirlo perché saremmo noi in malafede), una sorta di ritorno alle virtù del console Cincinnato, l'agreste coltivatore dai saldi principi morali, austero, frugale, incorrotto e incorruttibile, che traeva il suo acume politico dall'energia stessa della terra, seppur convertito al vegetarianesimo. Gli animali no perché soffrono e vuoi che non soffrano anche le piante? Ci ridurremo a mangiare uova e formaggio, addio cistifellea (sempre che non s'intromettano i vegani). Virtuosi i vegetariani, virtuosi i contadini minacciati dagli OGM, virtuosi gli artigiani sterminati dall'Ikea, le virtù socratiche, il giusto mezzo, Gaia, Maderakka e la Madre Terra, una sorta di comunità amish globale. Insomma, la decrescita felice è l'ideologia della frugalità virtuosa e della ricchezza peccaminosa, il classico fare di necessità virtù, come se gli antichi, come detto, fossero stati più virtuosi di noi in quanto buoni in sé e non già perché impossibilitati a disporre dei mezzi per innescare la rivoluzione industriale (la genealogia materialistica della morale, se siamo buoni è perché ce lo possiamo permettere). E' questo un tentativo di fondare un nuovo umanesimo e cioè di rendere il sistema più umano, per rimettere al centro i bisogni dell'uomo e così facendo pensare di poter riprendersi il trono, di indirizzare moralisticamente scienza ed economia quando scienza ed economia sono un'ipostatizzazione della nostra stessa essenza per cui attentare al loro vigore è un po' come attentare al nostro (per dirla alla Nietzsche, se muore la volontà di potenza muore anche l'uomo).

mercoledì 14 maggio 2014

Dico, per superare il feudalesimo ci abbiamo messo mille anni e ora saremmo già stufi del capitalismo? A voglia! La solita impazienza dei moderni che vogliono tutto e subito, velocità uguale celebrità! Non è che un sistema di produzione si cambia come si cambiano un paio di mutande, ancora il capitalismo non ha esaurito la sua riserva di risorse umane e non. Tempo fa qualcuno sperava, aveva creduto possibile, credeva che fosse proprio la volta buona visto il crollo del mercato finanziario, come se il capitalismo potesse ridursi a un caso di corruzione ma su vasta scala... ma il capitalismo siamo noi e come avete notato siamo ancora qui. Il capitalismo è in un rubinetto, è nello sciacquone del water, è nella caldaia che ha bisogno di assistenza e nella lavatrice che va cambiata. Il capitalismo è nella macchina, nella benzina che la fa andare, è nell'internet che ci fa comunicare. Non si può gettarsi da un treno in corsa pensando di prendere al volo la coincidenza. (questa è per chi pensa che sono contro il capitalismo perché sono povero).

lunedì 12 maggio 2014

Ho avuto conferme, Grillo ha già conquistato i cuori e le menti, un fenomeno simile al boom leghista degli anni novanta. Che possiamo farci? Niente. Del resto inutile predicare la pazienza agli insoddisfatti, tanto più inutile cercare di convincerli che se sono derelitti è colpa loro, come se l'avesse stabilito il padre eterno. Persino nei paesi più civili avanzano i populismi e l'avversione a un'Europa che così com'è pare proprio essere stata concepita per suscitarli. Chi se la passa bene non capisce, chi se la passa male s'incattivisce e i più furbi passano all'incasso. Personalmente io nutro una naturale avversione per chi sfrutta il malcontento della gente a fini elettorali, ma mica tutti sono come me, i più scelgono la via più breve e cioè quella della facile suggestione. Cioè io, che sono un derelitto, avrei tutti i titoli per lasciarmi incantare dalle soluzioni rivoluzionarie ma è che sto invecchiato male e oltre alla mia innata insofferenza per i padroni col tempo ho maturato anche un certo scetticismo riguardo le prodigiose proprietà soteriologiche generalmente attribuite ai servi.

sabato 10 maggio 2014

Insomma, per aumentare in ogni grado la nostra libertà di agire e il nostro potere sulle cose abbiamo approntato un apparato talmente enorme e oramai così sofisticato che perfino il sogno umanistico di un popolo sovrano che con cognizione sceglie i propri rappresentanti risulta impraticabile per sopraggiunta inadeguatezza dell'essere umano. E quindi anche il sogno dei grillini di essere i veri alfieri della democrazia diretta via web appare un po' patetico, soprattutto nella misura in cui non si accorgono di essere chiamati a scegliere fra opzioni che sono state fornite loro a bella posta, un cerchio magico, una seduta di autosuggestione. Ma siccome non vorrei che ricadessimo tutti nella sindrome di Weimar e anche sforzandomi di non fare della semplice reductio ad Hitlerum (che Grillo almeno s'è speso per la riduzione degli Stuka e anzi sono io, qui, che passo per atlantista), sì, penso sia legittimo andare a votare per scongiurare il pericolo, tanto viviamo tutti nell'errore ed è esattamente il nostro destino l'essere costretti a perseverare.
  Mario Adinolfi su twitter “una zoccoletta”

A proposito di lista Tsipras. Grande scalpore, come saprete, ha suscitato quel bikini galeotto, interpretato dai più come un segno dell'inevitabile arresa della sinistra alle logiche mercimoniali che vogliono il corpo delle donne sfruttabile a piacere come un mezzo per raggiungere i più svariati scopi. Ma io mi ricordo invece una sinistra di tradizione libertina, atea e materialista (sul modello di quella francese) che della nudità del corpo faceva una bandiera contro le paludate logiche della moralità borghese. Qualcuno dirà: Berlusconi ci è entrato dentro (in tutti i sensi). In realtà il sessantottismo viene prima del berlusconismo (e qualcuno ci vede pure una contiguità ontologica), per cui se "il corpo è mio e me lo gestisco io" appare più che legittimo servirsene per la causa che di volta in volta si ritiene più giusta. Sul portato rivoluzionario del corpo la sinistra ha smarrito la bussola, per sbarazzarsi di Berlusconi s'è dovuta talmente caricare di moralismo che di fatto le parti si sono invertite e i rivoluzionari di ieri si sono tramutati nei moralisti di oggi. Insomma, la signorina Bacchiddu, che tutto il portato ideologico della liberazione sessuale ce l'ha nel suo DNA e del suo bikini giustamente andava fiera, s'è dovuta beccare della "poco di buono" da un giocatore di poker, un giocatore di poker moralista, una cosa inaudita e ammissibile solo in questo tempo di estrema debolezza della categorie concettuali.  

“Non mi fare la permalosa per una battuta. Hai provocato per ottenere attenzione. Ti ho aiutato ad ottenerne”. (tu zoccola, io lenone).
Vedo una parte della tradizione marxista, nelle sue varie forme più o meno scialacquate, inseguire il sogno di un nuovo umanesimo impugnando il grimaldello del movimento cinque stelle credendolo il più adatto a mettere un freno alla bestia capitalista. Le infinite parrocchiette sopravvissute alla rovina della chiesa comunista fanno una gran fatica a convincere gli accoliti che non è quella la via maestra, magari stigmatizzando questa o quella sparata di Grillo e mostrando come sia in contrasto con la dottrina, ma oramai è tempo perso, dati alla mano, si vede bene come il popolo ha già deciso a che santo votarsi, così come un gran numero di artisti, poeti, santi e navigatori del movimentismo perpetuo. Ovviamente la partita non è del tutto chiusa, che la gloria del mondo è passeggera e gli epocali mal di pancia del popolo così poco prevedibili, ma in questo momento è così. Anzi, c'è perfino una parte di elettorato la quale, pur avendo deciso di rimanere fedele alla linea risolvendosi per la lista Tsipras, si sente come in dovere di giustificare la sua scelta, come se l'eresia fosse la sua e non già quella grillina, contraddizioni di un umanesimo che si trova sempre più a corto di fiato e di prospettiva.

giovedì 8 maggio 2014

Per usare un linguaggio non mio e ricamandoci un po' sopra, la libertà non appare, appare solo il destino. Che poi la libertà sia quella forma peculiare che abbiamo dato all'apparire senza la quale non potremmo vivere, be', questo è un altro paio di maniche.

mercoledì 7 maggio 2014

In pillole/1

«In generale: gli strumenti servono inizialmente a soddisfare i bisogni; poi i bisogni servono a possedere e ad usare gli strumenti; e quando il sistema dei bisogni ostacola in qualche modo il sistema degli strumenti, è il primo sistema, non il secondo, ad essere modificato

La riscossa del chinotto

Che tenerezza, se non proprio pena, questi articoli sulle aziende che fanno grande l'Italia, realtà artigianali che hanno saputo vincere la sfida della globalità: quella che fa la grappa e quella che fa il cioccolato che perfino la Svizzera c'invidia, quella che esporta aceto balsamico allungato (che tanto all'estero ci cascano lo stesso) e quella che vende materassi in Australia: il negozio di cristallerie. Come a sottointendere che siamo un paese di eccellenze, che la sfida si vince con la qualità (prossimo passo esportare gondole in Dubai, con il climatizzatore). Il modello di sviluppo non regge ma sarebbe grossa cosa intendere che si tratta di un modello, è più un argomento da salotto, un gioco di società: peschi bendato un sopravvissuto al grande cataclisma e lo elevi al rango di portabandiera dello spirito italiano nel mondo, suprema incarnazione di quella "genialità" che ci copre le misere pudenda con la sua grossa foglia di fico: il futuro passa dalla riscossa del chinotto.

martedì 6 maggio 2014

Obsolescenza della democrazia

L'errore sarebbe considerare liberalismo e democrazia come il culmine insuperabile di un lungo processo di affinamento, l'unico costrutto degno in quanto non ideologico perché ancorato nella necessità concreta di garantire la massima dignità possibile all'individuo, un assetto umanistico che saremmo obbligati ad accogliere come definitivo, diciamo posti con le spalle al muro, perché di più non sarebbe possibile garantire ("fine della storia"). Senonché troppo debole l'argomento della mancanza di alternative per essere davvero convincente, in quanto democrazia e liberalismo sono un epifenomeno della dimensione economica, la quale, per gli scopi suoi propri, può benissimo prescindere da queste sue emanazioni. Ne consegue che libertà economica e democrazia liberale non sono due dimensioni necessariamente connesse fra loro, che le vicende del liberismo non si intrecciano necessariamente a quelle del liberalismo democratico e che la Cina del capitalismo popolare sia al vertice dell'economia mondiale sta proprio lì a testimoniarlo. Non si tratta di stabilire chi sia il migliore fra liberalismo e socialismo, quanto mostrare come siano categorie assolutamente funzionali a una dimensione economica (a sua volta legata alla capacità di gestire il potenziale tecnologico) che se ne serve a piacimento, tanto da svuotarle di significato (si potrebbe benissimo concedere la democrazia al popolo cinese senza che questo comporti una sua minore adesione all'economia di mercato, copiandone le vuote ritualità dall'occidente come ne copiano le borsette). L'obsolescenza della democrazia è un fatto reale e concreto, essa rimane in vita come rimangono in vita gli aspetti esteriori del culto pur nel generale arretramento dell'atteggiamento religioso, e l'esercizio della volontà popolare, qualora riuscisse ad esprimere una vera opposizione, non potrà nulla contro la stringente consequenzialità dei meccanismi economici, perché in definitiva la stessa sopravvivenza dei popoli dipende da essi. Capisco dunque la necessità per gli occidentali di mantenere in vita la democrazia in quanto koinè, e cioè sua particolare specificità culturale, ma il passo successivo, quello più coerente, sarebbe abdicare, abolirla in favore di un dirigismo tecno-economico che trovi in sé la sua stessa giustificazione (risulta infatti chiaro come un organismo del genere sarebbe giudicabile solo da un collegio di suoi pari).

lunedì 5 maggio 2014

Tristo destino quello del mortale, destinato ad esser cosa fra le cose, vivo finché è vivo e morto per l'eternità. Temo di avere esaurito la serotonina, che è un po' come la morfina, sicché è tutta un'illusione la felicità, dipende dal grado di intossicazione. E la dimenticanza e la volizione, tutta un'allucinazione. Parimenti per l'ubriaco, il quale crede di dire per libero decreto ciò che poi, da sobrio, vorrebbe aver taciuto, mentre stasera si è solo meno allegri del dovuto.

domenica 4 maggio 2014

Quello che stavo tentando di chiarire e che nel frattempo mi aiuta a chiarirmi è che sì, siamo d'accordo sul ritenere pienamente legittima la posizione egemonica della Germania a livello economico, ma è inevitabile che i contrasti sorgano proprio là dove questa egemonia si estende anche a quello politico. Tutto normale se non vi fosse stato un apparato istituzionale europeo che ci chiama per giunta ad eleggere un parlamento, ma questo apparato c'è e i problemi nascono da questa ambiguità di essere chiamati al voto pur sapendo già chi sarà a capo del governo. Quindi da un lato l'esercizio della democrazia che presume la facoltà di esprimere la volontà popolare, dall'altro un'egemonia che si legittima da sé, secondo una legge sua propria che è quella del mercato. E' questa una contraddizione che necessariamente porta all'esplosione del populismo, è come gettare carne cruda ai leoni. La soluzione del dilemma mi porta a ribadire come la democrazia si stia a poco a poco svuotando delle sue prerogative, la quale cede naturalmente alla competenza dei consigli di amministrazione la sua oramai obsoleta funzione di espressione della volontà popolare (e in fondo che può saperne il popolo di come si governa un continente?).

sabato 3 maggio 2014

 "La forma del rimedio determina l'esperienza del dolore"

Per riordinare un poco le idee e non farsi prendere dallo sconforto della rovina generale di tutti i valori per cui niente è vero e tutto è falsificabile, e cioè la potenza infinita del nichilismo che non si arresterà finché non avrà sgretolato ogni cosa, si può impegnare il tempo a capirne i motivi. E in questo tentativo di comprensione risulta molto utile quel pensiero che avverte come all'origine del nichilismo via sia la convinzione che le cose attraversano l'esistenza del tutto provvisoriamente e così come le cose anche i concetti che le esprimono. Non ci può essere altro che provvisorietà, questo ci dice il nichilismo, e a parte i nobili tentativi di questa o quella tradizione di pensiero che vorrebbe contrastarla decisivamente e una volta per tutte, l'idea della provvisorietà oramai domina e pare destinata a dominare. Tant'è che di fronte all'ineluttabilità della provvisorietà della vita, dal nostro essere mortali senza una salvezza, alla necessaria provvisorietà degli affetti e del lavoro, il pensiero dominante tenta di renderci questa provvisorietà più appetibile vincolandola al concetto di libertà. Quando si evoca la libertà si evoca un grande rimedio, l'unico, parebbe, che ci è rimasto. La passione triste che scaturisce dalla certezza dell'essere provvisoriamente vivi, e cioè vivi ma come ospiti in casa d'altri e cioè finché il padrone di casa non decide arbitrariamente di buttarci fuori dalla mattina alla sera, intende essere compensata da un aumento esponenziale delle libertà che ci possiamo prendere, come se la libertà di girare per casa in ciabatte compensasse di per sé l'angoscia dell'essere alla mercé di un padrone di casa bizzoso, che la sera prima brinda con noi alle gioie della vita e il giorno dopo, del tutto incomprensibilmente, ci butta fuori di casa assieme al poco che abbiamo e quel poco che abbiamo potuto godere. E questo è il senso per cui anche il valore ideologico che sembra acquistare la libertà, da cui sembra dipendere tutta la felicità di cui possiamo disporre e che oramai sembra occupare per compensazione tutti gli infiniti vuoti creati dal pensiero della provvisorietà mi risulta irricevibile in termini pratici se non addirittura odioso perché puerile nella sua pretesa di rimedio.

venerdì 2 maggio 2014

Ecco, pensavo appunto come sia impensabile sgridare il capitalismo sperando che ci ascolti, o, come Umberto Galimberti, le cui copertine semaforiche della Feltrinelli ci osservano ammonitrici dagli scaffali, ritenerlo ineluttabile ma tenergli comunque il broncio, sperando che si muova a compassione. E' in un certo senso l'atteggiamento di chi è stato trascinato contro la sua volontà in una battuta di pesca d'altura dopo aver evocato le bellezze del mare e continuamente si lamenta e pungola il pescatore per ritornarsene a riva, che non era quello il senso che voleva dargli, ma egli è sordo ad ogni recriminazione tanto è importante per lui pescare i suoi pesci. Quello che voglio dire è che, una volta spalancato l'orizzonte della libertà, difficile, molto difficile che la libertà torni sui suoi passi e si dia un limite. La critica al capitalismo va nel senso di ritenerlo di impedimento all'umanità (e da qui le critiche di disumanità), di impedimento alla sua stessa libertà, proprio quando il capitalismo vorrebbe garantire la libertà nel suo senso più ampio. E' possibile che si stia parlando di libertà diverse o è possibile che il gioco sia sfuggito di mano, che come spesso accade in certe questioni che riguardano la dimensione sociale si parta per evocare un senso e poi quel senso si trasformi olisticamente in qualcosa d'altro. L'uomo per vivere deve poter farsi spazio perché questa è l'unica dimensione che riesce a sopportare, quando si rende conto che proprio quel capitalismo che predica la libertà economica può ridurre il suo spazio è chiaro che si sente soffocare. E' nello scarto che si crea fra l'intenzione iniziale e il senso che ha autonomamente assunto la grande macchina, e cioè l'impressione di esserne ingranaggi perlopiù sostituibili e quindi di nessun valore, che tenta di riguadagnar terreno l'azione dell'umanesimo, ci riuscirà? A mio modesto avviso saremo sempre impigliati in questa oscillazione continua fra illusioni di libertà, perché essere praticamente obbligati ad essere liberi, in un modo o nell'altro, è all'origine di tutti i patemi e di tutte le questioni più fondamentali.

Romance

Penso che ci siamo formati una nozione di democrazia molto ideale e questo è chiaro un po' a tutti. Intimamente pensiamo che la condizione ideale della democrazia sia quella in cui l'elettore sceglie razionalmente fra l'alternativa migliore, è una nozione che del resto è chiusa nel concetto stesso del termine, ovvero democrazia come esercizio della volontà informata del popolo. Cosicché la democrazia si viene a configurare come quella pratica asintotica che sempre aspira a raggiungere e mai raggiunge, che sempre tenta di restare all'altezza del suo ideale - ideale platonico par excellence, come avrebbe fatto notare quel matto di Nietzsche - ma mai ci riesce. Anzi, si dice che sia proprio in questo infinito aspirare alla perfezione del concetto, che mai riposa e sempre aspira, che sia racchiuso il senso del progredire storico, il senso stesso del progresso. Può anche essere, ma io vedo che, lungi dall'essere esercizio di una attività ragionante, la democrazia è pratica di attività desiderante (o magari la ragione stessa è un forma del desiderio). C'è questa volontà precostituita nell'elettore di andare a scegliersi il romanzo che più viene incontro alla suo gusto personale, quello in cui più volentieri indugia come perso in un sogno, si vota come si sceglie l'ultimo giallo in libreria sapendo di voler leggere un giallo. I candidati questa cosa l'hanno capita bene per cui da sempre fanno leva sulla mozione degli affetti, si tratterebbe quindi del progresso emotivo dello Spirito del mondo, la storia vera e propria di tutte le sue incarnazioni. La verità starebbe racchiusa proprio in questo mostrarsi del romanzo, non tanto in chi si avvicina di più al boccino. Quindi la questione cruciale sarebbe: sarà mai possibile in qualche modo uscire dal romanzo? No. (a questo punto penso sia superfluo sottolineare la perfetta assonanza fra i termini "elettore" e "lettore", da lettore del romanzo a elettore nel romanzo).