"La forma del rimedio determina l'esperienza del dolore"
Per riordinare un poco le idee e non farsi prendere dallo sconforto della rovina generale di tutti i valori per cui niente è vero e tutto è falsificabile, e cioè la potenza infinita del nichilismo che non si arresterà finché non avrà sgretolato ogni cosa, si può impegnare il tempo a capirne i motivi. E in questo tentativo di comprensione risulta molto utile quel pensiero che avverte come all'origine del nichilismo via sia la convinzione che le cose attraversano l'esistenza del tutto provvisoriamente e così come le cose anche i concetti che le esprimono. Non ci può essere altro che provvisorietà, questo ci dice il nichilismo, e a parte i nobili tentativi di questa o quella tradizione di pensiero che vorrebbe contrastarla decisivamente e una volta per tutte, l'idea della provvisorietà oramai domina e pare destinata a dominare. Tant'è che di fronte all'ineluttabilità della provvisorietà della vita, dal nostro essere mortali senza una salvezza, alla necessaria provvisorietà degli affetti e del lavoro, il pensiero dominante tenta di renderci questa provvisorietà più appetibile vincolandola al concetto di libertà. Quando si evoca la libertà si evoca un grande rimedio, l'unico, parebbe, che ci è rimasto. La passione triste che scaturisce dalla certezza dell'essere provvisoriamente vivi, e cioè vivi ma come ospiti in casa d'altri e cioè finché il padrone di casa non decide arbitrariamente di buttarci fuori dalla mattina alla sera, intende essere compensata da un aumento esponenziale delle libertà che ci possiamo prendere, come se la libertà di girare per casa in ciabatte compensasse di per sé l'angoscia dell'essere alla mercé di un padrone di casa bizzoso, che la sera prima brinda con noi alle gioie della vita e il giorno dopo, del tutto incomprensibilmente, ci butta fuori di casa assieme al poco che abbiamo e quel poco che abbiamo potuto godere. E questo è il senso per cui anche il valore ideologico che sembra acquistare la libertà, da cui sembra dipendere tutta la felicità di cui possiamo disporre e che oramai sembra occupare per compensazione tutti gli infiniti vuoti creati dal pensiero della provvisorietà mi risulta irricevibile in termini pratici se non addirittura odioso perché puerile nella sua pretesa di rimedio.
Mi trascini fuori dal lurkeraggio per dirti che questo commento è la chiosa perfetta a uno dei romanzi più belli che abbia mai letto; e per ringraziarti per aver aggiunto un tassello importante. Il romanzo, che è Infinite Jest di DF Wallace, gira attorno al concetto di cui parli: che ce ne facciamo della libertà di girare in casa in ciabatte, o della libertà di assumere qualunque sostanza, o della libertà di imbambolarci davanti a uno spettacolare intrattenimento. Non a caso, il romanzo è attraversato dai dialoghi di due personaggi estranei alle vicende principali, che sembrano messi lì solo per discutere di libertà: Steeply, liberista e Marathe, anticapitalista.
RispondiEliminaAndrea F
Allora magari lo leggo, ne dicono tutti bene
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