L'errore sarebbe considerare liberalismo e democrazia come il culmine insuperabile di un lungo processo di affinamento, l'unico costrutto degno in quanto non ideologico perché ancorato nella necessità concreta di garantire la massima dignità possibile all'individuo, un assetto umanistico che saremmo obbligati ad accogliere come definitivo, diciamo posti con le spalle al muro, perché di più non sarebbe possibile garantire ("fine della storia"). Senonché troppo debole l'argomento della mancanza di alternative per essere davvero convincente, in quanto democrazia e liberalismo sono un epifenomeno della dimensione economica, la quale, per gli scopi suoi propri, può benissimo prescindere da queste sue emanazioni. Ne consegue che libertà economica e democrazia liberale non sono due dimensioni necessariamente connesse fra loro, che le vicende del liberismo non si intrecciano necessariamente a quelle del liberalismo democratico e che la Cina del capitalismo popolare sia al vertice dell'economia mondiale sta proprio lì a testimoniarlo. Non si tratta di stabilire chi sia il migliore fra liberalismo e socialismo, quanto mostrare come siano categorie assolutamente funzionali a una dimensione economica (a sua volta legata alla capacità di gestire il potenziale tecnologico) che se ne serve a piacimento, tanto da svuotarle di significato (si potrebbe benissimo concedere la democrazia al popolo cinese senza che questo comporti una sua minore adesione all'economia di mercato, copiandone le vuote ritualità dall'occidente come ne copiano le borsette). L'obsolescenza della democrazia è un fatto reale e concreto, essa rimane in vita come rimangono in vita gli aspetti esteriori del culto pur nel generale arretramento dell'atteggiamento religioso, e l'esercizio della volontà popolare, qualora riuscisse ad esprimere una vera opposizione, non potrà nulla contro la stringente consequenzialità dei meccanismi economici, perché in definitiva la stessa sopravvivenza dei popoli dipende da essi. Capisco dunque la necessità per gli occidentali di mantenere in vita la democrazia in quanto koinè, e cioè sua particolare specificità culturale, ma il passo successivo, quello più coerente, sarebbe abdicare, abolirla in favore di un dirigismo tecno-economico che trovi in sé la sua stessa giustificazione (risulta infatti chiaro come un organismo del genere sarebbe giudicabile solo da un collegio di suoi pari).
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