Bello il pezzo di Ernesto Ferrero sul Grand Tour (Sette, n. 21), ne esce l'immagine di un paese pittoresco e dedito ai piaceri della carne, un'Italia di bettolieri in cui s'offrono allo straniero in cerca d'avventure le belle e procaci locandiere e ad ogni angolo di strada un furfante o un imbroglione l'è pronto a lasciarti tosto in mutande: «le stazioni di posta sono le stamberghe nelle quali s'acquatta l'alea del più perverso destino». La Faustina di Goethe, rubizza e scarmigliata, meravigliosa dispensatrice d'amore e di pulci (manca oggi questa facilità dei costumi, s'è un po' persa, non è la stessa cosa con le nigeriane ai bordi delle strade, mentre le figlie dei locandieri studiano oggi "Scienze della comunicazione").
«Ci sono luoghi in fama di speciale pericolosità. Le locande intorno a Radicofani sembrano riflettere la desolazione del paesaggio. Ci passa anche Dickens e si spaventa per la quantità di coltelli che vede ovunque, per l'ostessa che sembra la moglie di un brigante. Nelle taverne ciociare e campane si cucina, si mangia, si dorme sui tavolacci o nella mangiatoia. Le pareti della locanda di Fondi sono coperti di sputi di tabacco e sostanze innominabili. Nel Sud per i bisogni collettivi c'è una damigiana di vetro impagliato».
Prenda nota Saviano per il prossimo libro su Gomorra. E poi i gabellieri, da Bologna a Parma ci sono dodici dogane da attraversare e ad ogni sosta c'è da pagare pegno ("un fiorino!"). Io dico, stiamo attenti a ritenerci oramai usciti da questa condizioni di minorità, che le forme mutano ma restano i tratti essenziali, permangono sottotraccia come caratteri recessivi e per toglierli di dosso non basta un secolo e nemmeno due, come i rettili manteniamo le stesse caratteristiche
dal mesozoico.
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