Sono i banchieri centrali a dire che ora servono riforme strutturali, a dettare alle nazioni le linee guida dell'assetto economico, ha un bel dire Draghi che «non vogliono essere invadenti e non vogliono dire ai governi cosa devono fare». Da notare che questa specie di liberalismo liberato intende imporsi come guida sovranazionale in virtù della sua scientificità (e come tale viene ascoltato), proprio come fu per il comunismo, ma con la non poco rilevante differenza che il comunismo s'è dimostrato un'esperienza fallimentare mentre l'economia di mercato continua quasi ovunque a vivacchiare in forma più o meno spuria. Nei giochi economici agiscono infatti come variabili i più disparati caratteri nazionali, tutta la complessità del corpo sociale che si dimena e si contorce come un gigantesco mollusco flessibile. In questo la scienza economica procede per tentativi, spesso incorrendo in previsioni errate. Qual è dunque la sua forza? Non tanto la sua propria quanto l'assenza di alternative concrete (quanto alle utopistiche ci stiamo attrezzando), ma il fatto che non vi siano alternative non ci dice nulla sulla sua correttezza (se una strada conduce alla rovina, non significa che l'altra conduca alla salvezza).
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