Dimenticatevi lo spread, ora si porta il quantitative easing. Se ho capito bene il QE, l'alleggerimento quantitativo, consiste nell'acquisto di titoli bancari o di stato, sia tossici che non, da parte delle banche centrali. Lo scrivo per capire. Comprando titoli la banca centrale immette liquidità nel sistema, generalmente nella speranza che questa raggiunga l'economia reale attraverso i prestiti bancari e nella speranza di passare dalla deflazione (che equivale a scarsità di domanda) a un minimo di inflazione (sintomo di richiesta dei beni e dei servizi). En passant, sarebbe uno dei pilastri dell'abenomics. Senonché le banche non prestano semplicemente denaro in quanto ne hanno disponibilità, generalmente prestano denaro su garanzia, e nel quadro di un'economia stagnante o in recessione di garanzie se ne possono dare poche. E' più probabile che il QE, qualora interessi esclusivamente i titoli bancari, finisca per consolidare e arricchire le banche all'interno del proprio circuito, ma se il QE interessa anche l'acquisto di titoli di stato, allora va ad alleggerire il debito sovrano con benefici su tutto il sistema, sui i piani di sviluppo e di investimento in primis. Ho capito bene? Perché, sempre se ho capito bene, nel caso che il QE di Draghi non sortisca gli effetti sperati, «eventuali perdite legate ai titoli
acquistati finiranno in capo alle banche centrali nazionali ad eccezione
di una quota del 20%, che verrà condivisa». L'Europa dunque si inventa la giocata ma scarica il grosso del rischio sui singoli stati nazionali, un incentivo a cogliere al meglio l'occasione. Conviene che funzioni.
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