«Noi eravamo quello che voi siete,
e quello che noi siamo voi sarete»
e quello che noi siamo voi sarete»
E siamo al più classico dei memento mori domenicali. Già ve l'ho accennai, nei momenti di dolce sconforto dovuti a particolari condizioni dell'essere che non trovano riscontro e spiegazione evidente nella prodigiosa combinazione di atomi che costituiscono il nostro corpo, mi appare chiarissimo come le innumerevoli schiere degli uomini apparse sul pianeta Terra dal primo dei bipedi fino ai giorni nostri non abbiano in sé alcun valore se non eventualmente quello transitorio e transeunte, per non dire affettivo. Come in un branco di topi, gli stessi tipi umani si ripetono grosso modo uguali innumerevoli volte e come topi siamo destinati a marcire in questa cloaca a cielo aperto che chiamiamo con molta generosità "mondo". E all'interno di questo "mondo" tutto continuamente oscilla fra la vita e la morte; coi miasmi di tutti gli uomini vissuti ci si potrebbe impestare una buona parte dell'universo. Se oggi sono così ottimista lo devo al mio spirito critico e a qualche nevrosi non meglio precisata che, ahimè, non sarà oramai più diagnosticabile dal professor Freud, annientato definitivamente nell'Anno Domini 1939. Forse a voi piace un mondo così? A me fa cagare un mondo così, ma, per riconoscenza verso l'unica dimensione che mi trovo ad abitare, umilmente ringrazio e rassegnato mi accingo a ristabilire «la perpetua e piena dissimulazione della vanità delle cose» la quale «inganna in qualche guisa il pensiero, e mantiene come che sia e per quanto è possibile l'illusione dell'esistenza». (Giacomo Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl'italiani).
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