sabato 28 marzo 2015

Delle basi fisiologiche del capitalismo

A questo punto la questione è essenzialmente economica, a torto o a ragione l'economia guida l'agenda politica e questo dà modo anche ai rimasugli del marxismo di rientrare in partita. Dunque da un lato chi si muove nel sistema economico globale e cerca la soluzione al suo interno, dall'altro la vasta costellazione degli antagonisti, dai keynesiani di ritorno ai massimalisti di vario genere e natura che sognano tout court una società più libera e giusta. Ma basta, mi domando e dico, una coalizione sociale che susciti e favorisca la solidarietà fra gli oppressi per addomesticare il mostro capitalista e generare come per incanto la concordia e la risoluzione dei conflitti sociali? Io vedo queste due pulsioni in lotta, pulsioni prima di tutto psichiche, l'una che intende il benessere come aumento indefinito della felicità (e possiamo ascriverla al capitalismo e all'incrollabile fiducia in un progresso inarrestabile e sempre incrementabile), l'altra che vede nella limitazione dell'avidità e della cupidigia la condizione essenziale per aspirare al benessere generale (e possiamo ascriverla a tutti i movimenti che fanno appello al senso della misura, alla sobrietà, alla frugalità, all'uguaglianza, a quei movimenti che tendono a considerare il lusso e la ricchezza come una colpa). Facile comprendere perché l'occidente prediliga il primo movimento al secondo, perché l'intima aspirazione di ogni cosiddetto "proletario" è quella di diventare un "borghese", non certo di accontentarsi della giusta quantità di ricchezza messa a disposizione per lui dagli amici del popolo (una società simile può reggere nell'emergenza, e cioè nella fase di uscita da uno stato di indigenza o di profonda diseguaglianza, ma quando un certo grado di benessere è raggiunto stabilmente non è sempre possibile tenere a bada la legittima pulsione a desiderarne sempre di più). (in genere si prediligono le soluzioni aperte a quelle chiuse).

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