Se togliete all'uomo quell'insieme di istinto di sopravvivenza e di pulsioni sessuali (se togliete gli inganni della natura, per dirla alla Schopenhauer), e cioè quella specie di 'BIOS' che troviamo iscritto nel nostro essere e ci spinge a vivere e persistere fra le cose divenienti, di colpo si squarcerà il velo e ci apparirà chiaro come un qualsiasi essere vivente valga esattamente l'altro. Vale a dire che tutti noi, in termini squisitamente esistenziali, valiamo esattamente quanto il virus dell'influenza o una piantina di pomodoro. Che poi la nostra specie, nel momento in cui si è accorta di esercitare un certo dominio sulle altre, si sia creduta in qualche modo superiore fino a ipotizzare una predilezione divina nei suoi confronti, be', questo è essenzialmente un problema di presunzione. E non può che iscriversi nel problema anche tutta la tradizione dell'umanesimo laico e illuminista, la quale, costretta dalle circostanze, intende fare oggetto della propria venerazione l'umanità stessa, inclusa di retorica dei diritti umani e del progresso scientifico, quando non di un'eventuale adesione dionisiaca alla vita. L'autocoscienza, si dirà, questo è l'impronta peculiare dell'umanità, noi ci rendiamo conto di vivere e del fatto che dobbiamo morire. E che ne sappiamo noi dell'autocoscienza della povera zebra quando è inseguita dal leone, forse che non si rende conto d'essere esposta al pericolo più estremo? Anche lì sono all'opera meccanismi di autoconservazione del tutto analoghi ai nostri, c'è il 'BIOS', c'è la Volontà, c'è quel bouquet di «forze ignote e incontrollabili da cui veniamo vissuti»: vivere non è che l'essere dispersi nel moto browniano della perpetuazione delle specie.
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