martedì 30 giugno 2015

Alfred Kubin parte prima



Sono stanco, non sto in piedi, mi sento male, ho una leggera aritmia al ventricolo sinistro e al netto dell'ipocondria e dei falsi allarmi lascio qui il mio testamento spirituale prima che mi cada di mano la penna con tutto il calamaio. Ora, abbiamo già stabilito che la vita, in sé, non vale nulla di più di quel che è: mera generazione di esemplari che vanno a sostituire altri esemplari in un frenetico e continuo schiumare di onde, le onde del destino (citazione cinematografica, pregasi appuntare). Se vi credete unici e comunque degni di vivere più a lungo di un qualsiasi moscerino della frutta è per via di quell'istinto di sopravvivenza e quella volontà di vivere che come una subroutine viene richiamata alla coscienza e interviene nei momenti più disparati (e disperati) a garanzia della riaffermazione dell'io. Aprite bene le orecchie: è pura suggestione il credersi degni di vivere, pure suggestioni le necessità dell'io. E ricadenti nella suggestione le narrazioni idealistiche, gli accademici appelli alla ragione. Viventi ottenebrati, in balia di stati lisergici indotti da secrezioni ormonali (la riproduzione, la più grande fra le suggestioni). E così, suggestione dopo suggestione, pensiamo di restituire un senso alla vita finché un bel giorno, semplicemente, crepiamo, e allora addio alla volontà, addio per sempre al mondo e a tutto quel che contiene (posso morire contento).

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