La realtà non è contenuta nello spazio. Lo spazio è una cristallizzazione momentanea di un teatro per la realtà dove i movimenti e le interazioni delle entità macroscopiche materiali ed energetiche hanno luogo. Ma altre realtà - come ad esempio le realtà quantistiche - "hanno luogo" fuori dallo spazio, o - e questo sarebbe un altro modo per dire la stessa cosa - entro lo spazio che non è lo spazio euclideo tridimensionale.
Il concetto classico di "entità fisica", sia essa particella, onda, campo o sistema, è diventato un concetto problematico con l'avvento della teoria della relatività e la meccanica quantistica. I recenti sviluppi della moderna fisica quantistica, con la realizzazione di delicati e precisi esperimenti che coinvolgono singole entità quantiche, i quali dimostrano espliciti comportamenti non-locali per queste entità, portano con sé novità essenziali riguardo la natura e il concetto di entità.
(Diederik Aerts)
Sarebbe un lavoro immane, degno di Platone o di Aristotele, ridefinire oggi il concetto di "ente materiale", magari facendosi aiutare dalla fisica, perché no? La quale, genealogicamente parlando, sarà pur sempre figlia della filosofia, fino a prova contraria. Quella di Democrito, tanto per citarne uno solo assai caro ad Onfray, non era forse una fisica? Per cui niente di scandaloso. La filosofia nutre da tempo una certa invidia nei confronti della fisica, propria della vegliarda che si è vista scippare onori e gioventù, e brontola, sbuffa, fa l'inacidita, ma bisognerà pur ricucire questo strappo. La fisica va solo capita, incoraggiata, i giovani sono così volubili... tu, alla fisica, concedile pure la preminenza e lascia che ci creda, quindi lavorala ai fianchi.
Mi pare che la persistenza del materialismo, inteso come tendenza a considerare gli oggetti dell'esperienza come "solidi in sé stessi", derivi, oltre che dalla persuasione del senso comune, dal timore di scivolare in una certa mistica delle apparenze funzionale a uno scivolamento ulteriore dentro il pensiero religioso. Questo è un pregiudizio, una paura infondata. Sono le equazioni della matematica che descrivono oggi la materia come spuma indistinta di energie raggomitolate su se stesse. Le particelle quantistiche vivono nel loro stato di sovrapposizione di tutti i loro stati possibili finché arriva qualcuno a misurarle e tutto quel caos indistinto - l'àpeiron, niente di meno -, si cristallizza in un ordine distinto.
Può davvero la materia, quando non è osservata, fare un po' come gli va, e poi, appena si accorge di essere osservata, bloccarsi, come a "un, due, tre, stella!"? La realtà materiale dei quanti, ammesso che questa definizione abbia un senso, pare si formi sotto gli occhi dell'osservatore nell'istante stesso in cui si accinge ad osservarla, l'osservatore è il Re Mida. Ma qui osservare non significa solo "guardare", significa misurare, essere in rapporto con un altro oggetto. Si capisce quindi come in una realtà macroscopica in cui tutti gli oggetti sono costantemente in rapporto fra loro, tutti gli enti ci appaiano distinti.
Memore del mio dito alluce finito improvvidamente contro il termosifone, posso allora dire con certezza che la materia esiste in quanto percezione certa e incontrovertibile di forze agenti sugli alluci, come certa e incontrovertibile è la percezione della mia unghia che se ne sta cadendo, quando la penso o quando giunge a me la percezione di una fitta. Ma fa una bella differenza comprendere che la materia non è per forza di cose un oggetto inerte che se ne sta buono buono in un angolo in attesa di un alluce da scorticare, ma è ricettacolo di forze vive che colpiscono i sensi, prima ancora degli alluci, forze attive, che si rapportano costantemente con l'osservatore: la percezione della materia è una fenomenologia.
Non riesco però ancora a convincermi che vi sia uno strappo ontologico, scientificamente provato, fra gli oggetti macroscopici e quelli microscopici: le particelle subatomiche non si comportano in modo deterministico, ma prese nel loro insieme, in grandi aggregazioni, sì. Come può l'ordine poggiare sul caos? (Arthur Schopenhauer). Buonanotte.
Il concetto classico di "entità fisica", sia essa particella, onda, campo o sistema, è diventato un concetto problematico con l'avvento della teoria della relatività e la meccanica quantistica. I recenti sviluppi della moderna fisica quantistica, con la realizzazione di delicati e precisi esperimenti che coinvolgono singole entità quantiche, i quali dimostrano espliciti comportamenti non-locali per queste entità, portano con sé novità essenziali riguardo la natura e il concetto di entità.
(Diederik Aerts)
Sarebbe un lavoro immane, degno di Platone o di Aristotele, ridefinire oggi il concetto di "ente materiale", magari facendosi aiutare dalla fisica, perché no? La quale, genealogicamente parlando, sarà pur sempre figlia della filosofia, fino a prova contraria. Quella di Democrito, tanto per citarne uno solo assai caro ad Onfray, non era forse una fisica? Per cui niente di scandaloso. La filosofia nutre da tempo una certa invidia nei confronti della fisica, propria della vegliarda che si è vista scippare onori e gioventù, e brontola, sbuffa, fa l'inacidita, ma bisognerà pur ricucire questo strappo. La fisica va solo capita, incoraggiata, i giovani sono così volubili... tu, alla fisica, concedile pure la preminenza e lascia che ci creda, quindi lavorala ai fianchi.
Mi pare che la persistenza del materialismo, inteso come tendenza a considerare gli oggetti dell'esperienza come "solidi in sé stessi", derivi, oltre che dalla persuasione del senso comune, dal timore di scivolare in una certa mistica delle apparenze funzionale a uno scivolamento ulteriore dentro il pensiero religioso. Questo è un pregiudizio, una paura infondata. Sono le equazioni della matematica che descrivono oggi la materia come spuma indistinta di energie raggomitolate su se stesse. Le particelle quantistiche vivono nel loro stato di sovrapposizione di tutti i loro stati possibili finché arriva qualcuno a misurarle e tutto quel caos indistinto - l'àpeiron, niente di meno -, si cristallizza in un ordine distinto.
Può davvero la materia, quando non è osservata, fare un po' come gli va, e poi, appena si accorge di essere osservata, bloccarsi, come a "un, due, tre, stella!"? La realtà materiale dei quanti, ammesso che questa definizione abbia un senso, pare si formi sotto gli occhi dell'osservatore nell'istante stesso in cui si accinge ad osservarla, l'osservatore è il Re Mida. Ma qui osservare non significa solo "guardare", significa misurare, essere in rapporto con un altro oggetto. Si capisce quindi come in una realtà macroscopica in cui tutti gli oggetti sono costantemente in rapporto fra loro, tutti gli enti ci appaiano distinti.
Memore del mio dito alluce finito improvvidamente contro il termosifone, posso allora dire con certezza che la materia esiste in quanto percezione certa e incontrovertibile di forze agenti sugli alluci, come certa e incontrovertibile è la percezione della mia unghia che se ne sta cadendo, quando la penso o quando giunge a me la percezione di una fitta. Ma fa una bella differenza comprendere che la materia non è per forza di cose un oggetto inerte che se ne sta buono buono in un angolo in attesa di un alluce da scorticare, ma è ricettacolo di forze vive che colpiscono i sensi, prima ancora degli alluci, forze attive, che si rapportano costantemente con l'osservatore: la percezione della materia è una fenomenologia.
Non riesco però ancora a convincermi che vi sia uno strappo ontologico, scientificamente provato, fra gli oggetti macroscopici e quelli microscopici: le particelle subatomiche non si comportano in modo deterministico, ma prese nel loro insieme, in grandi aggregazioni, sì. Come può l'ordine poggiare sul caos? (Arthur Schopenhauer). Buonanotte.
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