Non dimentichiamo che legge del mondo è che diventa giusto quel che riesce a imporsi, questo è quello che si mostra storicamente al di là di tutte le interpretazioni e le volontà che sia altrimenti. Questa affermazione non è un'interpretazione, è un vedere, un constatare la realtà. Se una società, poniamo caso "capitalista", riesce a garantire in modo stabile e universale il soddisfacimento dei bisogni che mano a mano emergono, quella società sarà riconosciuta come giusta. Compito degli anticapitalisti, qualora sia possibile, dimostrare che una società capitalista non è in grado di soddisfarli, o che quella garantita dal capitalismo non è una "vera" soddisfazione. Tutte le società sono giuste finché mantengono al proprio interno una coerenza fra bisogni e soddisfacimento dei bisogni. La persuasione che questa soddisfazione sia congrua è di fatto una forma di appagamento, persuadere di qualcos'altro è possibile, e allora si formeranno nuovi concetti di giusto e di sbagliato. A questo proposito si immagina di solito la risoluzione del capitalismo come una fine della storia, un luogo in cui l'idea stessa di giusto e di sbagliato avrà trovato la sua definitiva formulazione, questo è problematico. Valga lo stesso discorso per tirannia e democrazia: se la tirannia fosse in grado di persuadere e blandire con la stessa efficacia di una democrazia allora di fatto diventerebbe giusta, ai filosofi il compito di dimostrare che una tirannia non potrebbe farlo per un impedimento legato alla sua stessa natura. (io continuo a pensare che la contraddizione sia a monte, e cioè che, essendo che le cose accadono per necessità, giusto e sbagliato non hanno alcun valore reale in sé ma sono una sorta di "operatori" logici).
Sei un pessimista cosmico :)
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