Nella sua genuinità di antico greco Platone riteneva la demagogia una forma di corruzione della democrazia, tuttavia in caso di governo corrotto aggiungeva anche che la demagogia è comunque la forma preferibile di corruzione, soprattutto rispetto alla tirannide e all'oligarchia, perché almeno salvaguarda la libertà. Chissà cosa direbbe oggi Platone assistendo allo spettacolo di questa specie di oligarchie che gestiscono democraticamente il potere facendo largo uso di argomenti demagogici. Tutto si è corrotto, la purezza degli antichi in primis, non ha più luogo d'essere, Platone parlava sub specie aeternitatis, sotto l'aspetto dell'eternità (i concetti puri sono slegati dall'accidentalità del mondo empirico, sono iperuranici e quindi perfetti, il concetto del cavallo rappresenterà sempre un cavallo, mai un asino). C'è anche il fatto che oggi, in piena guerra contro le dittature che minacciano la democrazia, fare questioni di lana caprina sul grado di democraticità delle nostre democrazie è considerato sospetto e controproducente, tuttavia mi domando se a forza di sospendere il senso critico per motivi urgenti, alla fine, di urgenza in urgenza, la democrazia non rischi di tramutarsi sotto il nostro naso in qualcosa d'altro, qualcosa di meno democratico. Per Platone, va da sé, la democrazia si muta inevitabilmente in dispotismo, ma Platone, abbiamo visto, è ormai antiquato, noi moderni siamo troppo avveduti, troppo conoscitori della storia per non accorgerci di quel che accade.
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