Il concetto della purezza degli antichi è trattato dal nostro acuto Leopardi in un passo giovanile - avrà avuto una ventina d'anni - dello Zibaldone, però riferito alle questioni dell'arte poetica:
"non c'è più quasi niente di spontaneo [...] Questo avviene perché ora si viene da un tempo corrotto (oltrechè si sta pure tra' corrotti) e bisogna porre il più grande studio per evitare la corruzione, principalmente quella del tempo la quale prima che abbiamo pensato a guardarcene s'è impadronita di noi, e poi quella dei tempi passati, perchè adesso conosciamo tutti i vizi delle arti e ce ne vogliamo guardare, e non siamo più semplici come erano i greci e i latini [...] Erano come fanciulli che non conoscono i vizi, noi siamo come vecchi che li conosciamo ma pel senno e l'esperienza gli schiviamo."
Conosciamo i vizi delle arti ma per il senno e l'esperienza li schiviamo, schivandoli la nostra arte ne esce ingessata, priva di quella grandezza che scaturisce dalla spontaneità, dallo sguardo in purezza degli antichi.
Conosciamo anche tutti i vizi della politica, ma visto che siamo avveduti li schiviamo tutti, così da sembrare che non ci appartengano, e ne esce una attitudine alla democrazia non più spontanea ma ingessata, corrotta dalla stessa preoccupazione che non sia abbastanza democratica e inclusiva. Il concetto è ulteriormente allargabile ad altri ambiti, d'altronde siamo al cospetto di Leopardi, forse fra i più sottovalutati pensatori italiani, troppo sbrigativamente rilegato nel girone infernale dei pessimisti per allontanare il fastidio di essere messi a nudo.
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