sabato 14 novembre 2015

Penultimi barbarorum

Alla fine la rilettura contemporanea del buon vecchio Spinoza - e dico "rilettura contemporanea" perché per forza di cose ci scappa sempre un po' di ermeneutica, cioè di reinterpretazione fisiologica del testo - è quella che ci può tornare più utile: emendare l'intelletto dalle affezioni che annebbiano la mente. Certo, in Spinoza c'è quella ricerca della felicità stabile e duratura che conduce all'imperturbabilità stoica (troppo spesso male interpretata come indifferenza), ma c'è soprattutto l'invito a non farsi sopraffare dalle emozioni, il che non esclude che anche all'asceta, occasionalmente, possano girare un po' le palle.

Gottfried Wilhelm Leibniz, in seguito a un colloquio con Baruch Spinoza avvenuto quattro anni dopo all'Aia, annotò sul suo diario che il filosofo olandese, estimatore dello statista trucidato, gli aveva detto «che il giorno dell'orrenda uccisione dei de Witt voleva uscire di notte per andare a riporre una lapide sul luogo del massacro, con sopra scritto ultimi barbarorum [traducibile con «i peggiori dei barbari», riferito agli autori del linciaggio]; ma il suo padrone di casa era poi riuscito a impedirglielo, chiudendo la porta a chiave, per timore che anch'egli fosse fatto a pezzi».

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