Che uno pensi e dica quel che gli pare sembra essere sempre meno contemplata come ipotesi, soprattutto su internet che ha preso corso di agorà ufficiale. Contro gli usi deleteri del free speech e della libertà di espressione si sono mobilitate addirittura le grandi corporation e il risultato è che oggi non si possono più postare, per esempio, capezzoli su Tumblr (nemmeno quelli della Maja Desnuda, che sono così belli e divergenti), e che se parli di Trump su Twitter devi stare attento a quel che dici perché altrimenti interviene l'autorità a farti presente che si tratta di argomenti controversi, questo almeno prima che l'orco cattivo comprasse la piattaforma e minacciasse di ristabilire la "libertà di parola", che oggi come oggi equivale a dire "incitamento all'odio". Per contrastare la perniciosa diffusione di notizie false, lo schieramento dei buoni non risponde tanto con la chiarezza, ma si impegna piuttosto a diffondere le sue proprie versioni, quelle rivedute e corrette, sottoforma di menzogne dette a fin di bene. Tra questo accompagnamento all'interpretazione corretta della realtà e la diffusione dolosa di notizie false, la verità giace abbandonata, accompagnata alla porta come i cani in chiesa. Il contrasto alle fake news è come il contrasto all'immigrazione, una guerra persa in partenza, soprattutto quando per contrastarle si cede all'argomentazione speciosa e prepotente, che della fake news è l'anticamera. Le persone vogliono solo dire quel che pensano e trovano sempre il modo di farlo, impedirglielo non fa che peggiorare la situazione.
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