Ci dice l’enciclopedia diffusa di internet che gli antichi greci, custodi dei significati che stanno alla base dell’occidente, indicavano la materia con il nome di hyle (dagli antichi pronunciata “üle”, con la “ü” lombarda, per cui anche “füsis” per dire physis, la “füsica nucleare”, ecc., “übris” per dire hybris). Nel suo significato originario, come indicato dalla Treccani, hyle significa “legna di bosco”, intesa come materiale di costruzione.
Da qui si può evincere tutta la praticità degli antichi: hyle è la sostanza materiale informe in attesa dell’agente esterno che la trasformi e la traduca nelle cose del mondo, così come la legna, opportunamente organizzata dall’azione dell’uomo, dà origine alle molteplici forme delle navi.
Questa materia così concepita, idealmente molto vicina all’apeiron, è un concetto puramente astratto: poiché le cose del mondo sono distinte fra di loro, occorre che vi sia una sostanza indistinta che sia potenzialmente predisposta a ricevere le forme, così come verrà illustrato più tardi dalla filosofia aristotelica, poiché se le cose si creano e si distruggono, occorre che esse non diventino un nulla assoluto e non si creino dal nulla assoluto.
Ma è davvero così?