lunedì 22 luglio 2019

Ritratti: Schopenhauer e la pietra filosofale

[trovandomi in crisi di ispirazione tengo allenato il muscolo riprendendo il discorso filosofico, ma è poca roba, scritta senza verve e soprattutto già abbondantemente trattata]

Schopenhauer aveva trovato la pietra filosofale - dire che fosse “la sua” non sarebbe corretto, il filosofo ambisce alla verità in sé, valida per tutti -, partendo dalla posizione kantiana per cui la realtà prende la forma di chi la guarda, il mondo è una rappresentazione, sicché l’uomo lo vede in un certo modo perché il quel modo lo codifica la sua coscienza, al fondo di questa rappresentazione si pone la realtà vera, quella originaria, la pulsione alla vita, cioè la Volontà di Vivere. È in questo senso che il suo pensiero viene definito irrazionalista, non perché non abbia alcun legame con il ragionamento, ma perché pone alla base del mondo razionale un principio intuìto attraverso il sentimento di sé: la Volontà, alla quale ciascuno può attingere direttamente nel fondo della propria coscienza. Tutto nel mondo è pulsione alla vita, che si concretizza essenzialmente nell’istinto di conservazione, nel mondo biologico e animale, ma anche nella tendenza della pietra a conservarsi il più possibile entro la sua forma. Di Schopenhauer salterà subito all'occhio la chiarezza e il talento letterario, ridotto però dall'odierna industria editoriale a spezzatino di aforismi, e poi la feroce polemica nei confronti degli idealisti tedeschi, con particolare riguardo a Hegel, che rifiuterà perfino di includere nella categoria dei filosofi trattandosi a suo parere di un semplice ciarlatano (a proposito di Hegel scriveva: "Da ogni pagina, da ogni riga traspare la preoccupazione di abbindolare e di ingannare il lettore, e ora di sbalordirlo facendogli impressione, ora di assordarlo con frasi incomprensibili" e non aveva tutti i torti). Uomo poco incline ad amare l'umanità, aveva però concepito in accordo con il suo sistema una sorta di compassione universale per il faticoso compito che vedeva impegnati gli uomini a lottare gli uni contro gli altri sulla spinta di una volontà a cui non si potevano sottrarre, sicché il migliore modo di vivere, secondo lui, era di smettere il più possibile di dare retta alla Volontà concettualizzandola e considerandola dall'esterno sotto l'aspetto dell'eternità. E qui risultava evidente il legame con l'antica sapienza orientale che prendeva le mosse dalle sue amate Upaniṣad e dai precetti del buddismo: la vita intesa come stato negativo, origine di tutte le tribolazioni, la necessità di liberarsi dalla volontà per smettere di girare nella ruota del saṃsāra, e cioè il mondo terreno, la vita materiale eppure illusoria permeata di dolore e di sofferenza. Amante della solitudine e dei cani, misogino e ateo irriducibile (l'entità su cui poggia il mondo è malvagia), riserverà per le donne parole meno crudeli in vecchiaia, quando sull'onda del tardivo riconoscimento il suo giudizio verrà addolcito dalla ritrovata compagnia femminile che lo spingerà ad affermare, ritrattando, che anche le donne sono dotate di acume e di capacità di altruismo. Suonava Rossini al flauto.

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