Mi affascina la figura di
Joseph-Marie de Maistre, nato in Savoia, allora Regno di Sardegna, il
primo di aprile del 1753 (ma non si tratta di uno scherzo), prototipo
di tutte le destre reazionarie (reazionarie perché reagiscono alla
rivoluzione francese), critico con la restaurazione perché a suo
avviso troppo morbida con i rivoluzionari, promotore di un ritorno
alla piena autorità papale contro l'eresia della modernità. Sulle
enciclopedie viene tacciato di “ultramontanismo”, cioè coloro
che si trovano al di là dei monti, come i protestanti definivano
quelli che abbracciavano le ragioni della chiesa cattolica romana. I
principi della rivoluzione, e quelli della riforma protestante, sono
per de Maistre il peccato che allontana dall'ordine politico e
sociale voluto da Dio:
“Il mostro tricefalo
della modernità che comprende la ragione, la rivoluzione,
l'individualismo, gli appare come il prodotto di un grande complotto.
Con Locke e Bacone comincia «la più terribile congiura che sia
stata fatta contro la religione e contro i troni». La grande follia
della ragione rende tutti gli ordinamenti provvisori, sottopone ogni
dogma religioso a obiezioni cui è difficile rispondere. Per questo
occorre respingere la ragione «come un'avvelenatrice» che mina la
felice consuetudine per cui «spetta ai prelati, ai nobili, ai grandi
ufficiali essere i depositari e i guardiani delle verità
conservatrici». (Il pensiero politico della destra, Michele
Prospero, citando lo stesso de Maistre)
Torna utile, il de
Maistre, in questa odierna battaglia contro lo spauracchio
dell'islamismo e dell'invasione africana, fra omaggi un po' furbetti
alla Madonna e appelli accorati alle comuni radici
giudaico-cristiane, de Maistre ritorna perché il problema
dell'ordinamento stabile della società si riaffaccia ogni volta che
sopraggiunge un pericolo che lo mette in discussione e la sola
fratellanza fra i popoli ridiventa un concetto troppo vago e incerto
per dare pace all'animo spaurito. Il guaio della ragione lasciata
senza briglie è che vola troppo alto e perde il contatto con le
ragioni delle viscere, la paura dell'estinzione smuove sul fondo
tutta la fanghiglia delle inquietudini ancestrali, per cui si può
ben dire che anche l'odierno populismo, a suo modo, è un restare
umani, troppo umani.
scusa, ma non sarebbe più semplice ritornare ad un concetto di "ragione" di tipo schopenhaureano ? Una ragione cioè al servizio della volontà ?
RispondiElimina"Ritornare" nel senso di decidere di vederla in questo modo? Perché la volontà che intende Schopenhauer non è volontà di decidere gli scopi e i significati da dare alla ragione.
Eliminasì certo, nel senso di vederla in questo modo.
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