Moglia, quattro case sparpagliate sulla riva destra del Po, una chiesa, un campetto e un caseificio che si occupava anche dei maiali. Con ventimila lire andavo a comprare un etto di prosciutto, mi davano il resto in caramelle. Ero pieno di caramelle, le seminavo per strada come Pollicino, biondo che non sembravo nemmeno io, con le gambette secche che spuntavano dal pantaloncino largo come un mutandone, impossibile perdersi. Avevo le ginocchia costantemente grattate dal rovinoso impatto con il selciato in cemento, delle ellissi perfette, da manuale di geometria. Perché era arrivato il cemento a civilizzare la campagna e una gettata di cemento era allora considerata l'accessorio indispensabile per fare di un cortile di zotici una contrada signorile, rovente d'estate, scivolosa d'inverno, ma che teneva lontana la polvere e permetteva di mantenere lustre le piastrelle del salotto. La cugina di mia nonna, donna di un senso della pulizia impeccabile, per non sporcare la cucina spignattava nel garage e in casa sua si entrava solo muniti di un permesso speciale. Mai ebbi la fortuna di essere introdotto nel mausoleo, mi immaginavo quella casa come un Taj Mahal, lucido come uno specchio, rappresentazione ideale del concetto stesso di pulizia. Lavava anche il selciato di fronte a casa, con la varechina, con una spazzolina grattava via il muschio attorno ai vasi, sicché d'estate, in pieno sole, quel selciato si poteva distinguere anche dallo spazio, più luminoso del lago di Garda. Questa cugina la si poteva vedere camminare coi calzettoni di lana anche d'estate, "perché c'era un po' d'arietta...", era sommamente ipocondriaca e ci manteneva costantemente informati sul colore e la consistenza delle sue feci, quasi fossimo noi degli analisti di laboratorio, e dei bruciori della sua "passerina", come fossimo anche degli urologi. Io rimanevo un po' stranito da tutti quei dettagli, universi sconosciuti che nemmeno avrei voluto conoscere. Ci andammo anche al mare con questa cugina e ci mancò poco che non si portasse appresso lo scialle di lana. Tuttavia era simpatica. Tutta un'altra cosa era la signora G..., donna molto devota, sempre incipriata e profumante di talco come una bambola, che aveva i piedi così gonfi che le uscivano dalle scarpine come dei soufflé, giacché era così trattenuta nei modi che si era messa a trattenere anche i liquidi. Però faceva un delizioso tè al limone, dolcissimo, con talmente tanto zucchero dentro che era sempre lì lì per tramutarsi in budino. Da piccolo mi portava a messa e magari in cuor suo pensava di avermi salvato dalla perniciosa influenza del nonno comunista, macché, ma al mondo l'importante è vivere sereni e mi fa piacere di non averle dato questo dispiacere. Il barbiere faceva in tutto due tagli, corto e a scodella.
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