venerdì 30 dicembre 2016

Day Surgery. Parte I

L'ospedale nuovo non sembra nemmeno un ospedale, dissimula subdolamente la sua funzione travestendosi da aeroporto, luogo di arrivi e di partenze per destinazioni sconosciute, più qualcosa dell'outlet e del centro commerciale: grandi hall, ampie vetrate, comode poltroncine con ambizioni da salottino lounge, alle pareti quadri di artisti sconosciuti tra l'introspettivo e l'arte concettuale, più certe madonne cubiste che mettono ansia solo a guardarle. Mi tocca in sorte il piano 0, Day Surgery, vinto il primo attimo di smarrimento mi infilo deciso in un lungo corridoio di cui non si intravede la fine trascinandomi dietro mia madre e la borsa del pigiama. Le indicazioni ci spingono sempre più all'interno, giù nella pancia della balena, in un susseguirsi di porte tagliafuoco e pareti giallo paglierino disposte a moduli, spaesamento totale e mal di pancia. All'improvviso una porta più Day Surgery delle altre, mancano dieci minuti alle sette, l'ospedale è deserto: C'è nessuno? Dal fondo del corridoio si materializza un tipo col naso affilato e l'impermeabile, uno che sembra uscito da una striscia di Andrea Pazienza: Non è che c'avete un'euro che ho il bus che mi parte e mia sorella a casa con l'influenza? E l'euro sia pur di levarcelo dalle palle. Quello prende l'euro e schizza via come un fulmine ripetendo a più riprese un grazie che svanisce e riverbera per effetto Doppler via via che si allontana. A quel punto aprono la porta e l'accettazione si riempie all'istante di gente arrivata da non so dove, le avranno chiamate sul momento giusto per farci un dispetto, gente pagata arrivata coi pulmini. In ogni caso sono di buon umore, mi siedo vicino a un grande albero di Natale, c'è gente che dev'essere operata al tunnel carpale e alla cataratta, fanno l'appello e ci dividono per acciacchi: ortopedici di qua, oculistici di là. Fine della prima parte.

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