C'era un articolo di Imarisio, il corrispondete del Corriere da Mosca, che nel marzo scorso, in piena euforia da sanzioni, descriveva con divertita partecipazione il crollo dell'economia e della società russa. Comincia con moglie e marito che non trovano più i corn flakes a colazione e il gatto che miagola perché gli han ridotto la razione di bocconcini (e qui la prima rivelazione: i russi amano gli animali domestici, ogni casa ne ha uno, sono i bambini quelli che mangiano). Prosegue, con l'enumerazione apocalittica dei flagelli: la disattivazione dei sistemi di pagamento elettronico, la miscela di caffè etiope che non arriva più, i taxi da pagare con valigette piene di contanti, l'inflazione galoppante, i risparmi in fumo, il computer che si rompe, la stampante senza toner (nota bene: li producono in Cina), niente più scarpe della Nike, iPhone, Balenciaga e così via, insomma, un ritorno all'età della pietra. Sei mesi più tardi eccoci alle prese, qui nel radioso occidente, con l'inflazione galoppante, i prezzi di luce e gas centuplicati, la minaccia di razionamenti dell'energia, lo spettro di un inverno al freddo. Partiti per far crollare la Russia, gli ottimati europei trascinano puntigliosamente nel disastro anche l'occidente, però per una buona causa: occhio per occhio, disse il cecato.
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