Il problema più rilevante resta comunque il nichilismo, a tal proposito c'è una bella frase di Heidegger che troverete su Wikipedia: «Il nichilismo. Non serve a niente metterlo alla porta, perché ovunque,
già da tempo e in modo invisibile, esso si aggira per la casa. Ciò che
occorre è accorgersi di quest'ospite e guardarlo bene in faccia». Ecco, che Heidegger sia riuscito a guardarlo bene in faccia è tutto da dimostrare, ma la frase non è comunque priva di una sua eleganza. Personalmente sono un curioso animale, essendo principalmente un severiniano in senso ontologico e uno schopenhaueriano in senso esistenziale. Certo, le due cose apparentemente non quagliano, ma che importa? Non devo comunque renderne conto a nessuno. Non vi so dire se siamo eterni o meno, se abbiano ragione Barbour e Severino (The End of Time ed Essenza del Nichilismo due facce della stessa medaglia, tutt'ora sto traducendo dall'inglese un saggio sulle Shape Dynamics gentilmente speditomi dall'autore*), la Wille schopenhaueriana mi impone non solo di vivere, ma anche di temere la morte, la quale mi appare senz'altro come distruzione totale e definitiva dell'essere, del mio essere. Ritornando alla questione del nichilismo, mi rendo conto che perlopiù il problema non è affrontato radicalmente, si dice spesso che non esiste più nulla di stabile ma non si sa bene il perché, come se il nichilismo si riducesse a un capriccio degli atei che per dispetto, quando non proprio per cattiveria, decidono di mandare all'aria tutto quel complesso di valori assoluti e definitivi a cui si affidano solitamente i credenti o qualche residuato bellico del pensiero forte, marxista, spinoziano o hegeliano che sia: perché tutto crolla?
Il segreto starebbe nel senso che diamo al divenire, l'uovo di colombo. Intendiamo il divenire come provenire dal nulla e ritornare nel nulla da parte degli enti. Filosofia e teologia sarebbero dunque i millenari tentativi di dare una spiegazione stabile del divenire ponendovi al di sopra un essere immutabile che ne governi le oscillazioni. Ma più l'essere è immutabile più sottrae spazio all'azione dell'uomo, il quale è l'essere che in prima persona è più coinvolto da quel senso del divenire che lo vorrebbe in qualsiasi momento esposto alla nullificazione. Fatale dunque che più stabile è il rimedio, più forte sia l'esigenza dell'uomo di abbatterlo per lasciare spazio all'azione salvifica in prima persona, quella famigerata tecnica, quell'atteggiamento scientifico per cui le spiegazioni non sono più stabili a priori per adattarsi al meglio alla mutevole instabilità del divenire. In altre parole, per rincorrere e sperare di raggiungere una preda più che mai sgusciante occorre innanzitutto agilità, cambiamenti repentini di direzione. Ma è solo quando l'uomo trova la chiave per agire e trasformare la realtà da sé e con i suoi propri mezzi che la vicenda del nichilismo (e se vogliamo della modernità che abbatte i vecchi valori), già presente in nuce nel modo stesso di concepire il divenire, dà un'accelerata, se gli uomini non si muniscono dei mezzi adeguati per trasformare la realtà non hanno nemmeno la forza e l'occasione di abbattere quelle strutture metafisiche immutabili che in ultima analisi leniscono l'angoscia per l'ineluttabile destino a cui debbono sottostare, fintanto che non trovano un rimedio migliore.
Chiaro, semplice, lineare. Che poi gli uomini abbiano davvero il destino nelle proprie mani, questo è un altro paio di maniche, l'importante è che pensino di averlo, perché più lo pensano e più sono felici (in ultima analisi, è l'intima felicità, fattore fiosologico per eccellenza, che determina ciò che è bene e ciò che è male, in balia delle emozioni più che della ragione, o meglio, della ragione al servizio di quell'emotività che indica la felicità come pietra angolare del mondo).
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