La physis è per i greci quel vasto agone in cui nascono e periscono le cose, ovverosia la natura. Entrambi i termini, il latino e il greco, condividono la stessa etimologia in quanto anche “ la parola greca physis appartiene alla radice phyo (φύω), ‘genero’, ‘cresco’ “.
La physis dei greci, da cui deriva ovviamente anche la parola “fisica”, non nasce indicando necessariamente la natura materiale, il concetto di materia deriva principalmente dalla riflessione degli atomisti sulla necessità che il mondo non sia suddivisibile all’infinito, pena la sua inconsistenza.
Curioso qui sarebbe notare come la consistenza effettiva delle sensazioni che costituiscono il mondo non sia per i greci bastevole a sorreggere la realtà delle cose: “E se un’asta fosse suddivisibile all’infinito?”, si chiedevano i greci. “Pazienza!”, si potrebbe obiettare loro, l’importante è che quell’asta esista nella misura in cui si manifesta, ma ai greci questo atteggiamento fenomenologico non andava a genio, l’equivoco dell’esistenza materiale delle cose sta tutto in quel loro primo passo mosso contro il timore del precipitare di tutte le cose nel nulla.
I sofisti distinsero poi la physis dal nomos, intendendo la prima come la natura guidata dalla sue leggi necessarie e il secondo come la legge positiva concordata di volta in volta dagli uomini. “ Popolazioni e comunità diverse conoscono differenti nomoi (cioè differenti usanze religiose, etiche, politiche e via dicendo) “, ma la physis è una sola e comune a tutti gli uomini e precede il relativismo delle usanze e dei riti perché è la legge stessa che muove le stelle.
Curiosi questi greci.