Il governo tecnico, manco a dirlo, l'aveva già inventato Platone. Via Socrate descriveva questa ipotetica polis affidata alla guida della sapienza filosofica, non dunque alle delibere della Boulé, l'alto consiglio che consultava l'Ecclesia, l'assemblea dei cittadini, ma alla guida della razionalità scientifica per come la intendevano all'epoca (fate conto che la sapienza per gli antichi era quella che oggi è per noi la scienza moderna). Fra democrazia e tecnocrazia si innesca da sempre un corto circuito: se il cittadino deve infatti essere informato correttamente per deliberare si pone l'antico problema di come far scaturire in lui la conoscenza, e come si infonde nel cittadino la conoscenza? Attingendo alla vera sapienza, quella filosofica. Ma se sono i filosofi a diffondere la vera conoscenza tanto vale conferirgli direttamente l'incarico di guidare la polis saltando il passaggio della decisione popolare. E la dialettica socratica, e la libera discussione delle idee? La dialettica socratica, a guardarla bene, più che una libera discussione è pretesto per condurre lo sprovveduto interlocutore, che recita la parte del popolo bue, ad abbracciare le tesi dell'avveduto filosofo, che prende le parti del tecnocrate, del competente, dell'esperto in materia (che è in definitiva tutto lo scibile, essendo la filosofia scienza prima), dunque:
Per il bene degli Stati sarebbe necessario che i filosofi fossero re o che i re fossero filosofi.
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