Poiché bisognava pur iniziare da qualcuno per raccontare tutta la storia, Talete di Mileto fu eletto da Aristotele quale primo rappresentante della gloriosa schiatta dei filosofi, eppure non era il solo, Talete, che poteva vantare competenze e qualifiche confacenti al ruolo, c'erano, per esempio, Pitacco di Mitilene, Biante di Priene, Cleobulo di Lindo, Chilone di Sparta, Misone di Chene, tutti parimenti saggi e parimenti provvisti di una lunga barba che di quella saggezza era il segno più evidente, ma Talete di Mileto la spuntò grazie a un talento particolare: la ricerca dell'archè. L'archè è quel principio da cui provengono tutte le cose e a cui tutte le cose fanno ritorno. Sul perché occorresse pensare un concetto di tale portata si è scritto molto: la filosofia nasce da uno stupore (thauma), chi dice dinnanzi alla natura, come si trattasse di rimanere estasiati col naso all'insù di fronte allo spettacolo del mondo, chi dice invece uno sbigottimento di fronte alla manifestazione della caducità delle cose e alla precarietà dell'esistenza, sicché la ricerca dell'arché sarebbe espressione di un intimo bisogno di salvezza. Darsi una spiegazione equivale in qualche modo a una consolazione, il divenire appare meno arbitrario, il destino del mortale meno pesante da portare. Dunque Talete pensò il principio da cui provengono tutte le cose e lo identificò nell'acqua. Ogni cosa è composta d'acqua in misura diversa, e qui non si capisce bene se l'acqua di cui invece facciamo esperienza nel mondo sia essa stessa quell'elemento originario di cui parla Talete oppure un elemento fra gli elementi al pari di tutte le altre cose. Tuttavia il solco è tracciato, i primi filosofi danno ognuno una diversa definizione dell'archè: sia dichiarata aperta la stagione della caccia, alla verità.
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