Anassimandro segue a Talete e già nota come un elemento come l'acqua, già di per sé presente in natura, non può costituire il fondamento di tutti gli altri elementi, occorre un principio che li contenga e che non sia un elemento in particolare, Anassimandro pensa dunque all'àpeiron, il quale è il non limitato, il senza fine, il non determinato. Ma perché, voi direte, dovremmo interessarci a concetti così astratti e improduttivi? Anassimandro, che come naturalista puro poteva apparire ai nostri occhi alquanto stravagante considerando causa del moto del sole e della luna i vapori acquei, con l'àpeiron inserisce invece il divenire delle cose in un quadro teorico non disprezzabile, a maggior ragione se si pensa che lui è solamente il secondo dei molti che si cimentarono nell'impresa. Le cose emergono dall'indistinto, dal non definito, e si definiscono, si distinguono opponendosi alle altre, il solo fatto di emergere dall'indistinto irrompendo sul palcoscenico della natura le mette nella posizione di compiere un'ingiustizia verso tutte le altre, sicché, per ristabilire l'ordine, emergono per contrasto le cose opposte, è da questa eterna tenzone che scaturisce quell'equilibrio, quella giustizia, che fa sì che tutto si muova, che tutto divenga senza fine. Saranno concetti poi ripresi da Eraclito, il quale godrà però fra gli storici della filosofia di maggiore fama per alcuni particolari aneddoti che riguardano la sua vita, come, per esempio, il vezzo di scrivere le sue massime su lamine d'oro o l'essere morto ricoperto di sterco divorato dai cani (che ora come allora è l'unico modo per farsi notare).
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