Talete di Mileto era già morto da centocinquant'anni quando Aristotele, in vena di manie da riordino, lo aveva estratto a sorte da un pool di sette saggissimi saggi dell'antichità per metterlo a capo dell'illustrissima schiatta dei filosofi, un circolo ristrettissimo, più esclusivo del Rotary e del Bilderberg group, ma che portava in dote la sola gloria e nessuna ricompensa benché Talete avesse fatto i soldi con le olive. E tuttavia i discendenti di Talete ne furono così contenti che con il premio in gettoni d'oro fecero erigere un monumento in onore del sapientissimo avo, pieno di giuochi d'acqua e di fontane, sì da ricordare che principio di tutte le cose era l'acqua, zio Alcibiade si spese invece la sua parte al Ceramico, dove passò la notte a spiegare a due prostitute lidie di come Talete avesse misurato la piramide di Cheope con l'aiuto di una pertica e usando la sua come esempio. Tutto è acqua, le montagne, gli uomini, i parastinchi, che siamo fatti d'acqua, diceva Talete, lo si evince dal fatto che facciamo tanta plìn plìn, e a chi gli ribatteva che la pietra è dura e non bagna le mani, Talete rispondeva che l'acqua che intendeva lui non era quella che si beve quando si ha sete ma un elemento proteiforme che può assumere le sembianze più disparate, comprese quelle dei calli e dei duroni alle piante dei piedi. Logica stringente e paura di nessuno, così i filosofi si apprestavano a conquistare il mondo.
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