La mia opinione è che sono "gettato", per usare un termine tanto caro agli epigoni di Heidegger, in una struttura che lascia poco spazio al movimento, condizionato come sono da retaggi culturali, storie personali, fattori contingenti e naturali, ragion di stato e di pagnotta, per cui l'unica via di uscita mi pare il disprezzo, come già fu per Schopenhauer pur non avendo davanti a me alcun Hegel, rinvigorito dalla convinzione che non c'è ragione di preferire gli altri a se stessi, e così vale per tutti. Non so se è la forza o la rassegnazione che mi spinge ad accettare questa condizione generale per ciò che è, e cioè la miracolosa, fortuita e incidentale emersione di un essere dal nulla, tanto fragile che in qualsiasi momento, così com'è emerso, potrebbe di nuovo inabissarsi, senza che medici, scienziati e tantomeno filosofi possano opporvi un rimedio. Sono sempre più convinto che realmente la vita non abbia alcun senso, anche al netto delle nevrosi personali e degli squilibri psichici e mentali, e perciò che nemmeno abbia alcun senso darsene pena (semmai te la fanno venire gli altri, quando vorrebbero convincerti con il loro bell'esempio che un senso ce l'ha!).
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